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F.A.Q. Domande Frequenti

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Con la legge 14 febbraio 2006, n. 55 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 50 del 1° marzo 2006) è stato introdotto nel nostro ordinamento l’istituto del “patto di famiglia”.
Si tratta della possibilità di un accordo tra un imprenditore e uno o più dei propri discendenti che, nel rispetto di determinate condizioni e senza che vi possano essere contestazioni in sede di eredità, ha come oggetto il trasferimento dell’azienda o delle quote di partecipazione al capitale della “società di famiglia”.
E’ una novità importante nel sistema del diritto successorio: nel nostro Paese è infatti piuttosto alta la presenza di imprese a carattere “familiare” che operano addirittura nell’ambito delle società quotate in borsa.
Nel caso della successione dell’imprenditore ciò che egli aveva creato con fatica può essere dissipato con grossi rischi di disgregazione se non viene assicurata una certa continuità nella gestione.
Il patto di famiglia è un contratto.
Non è, quindi, un testamento: è, di fatto, una convenzione la cui particolarità è quella di andare ad incidere sulla successione dell’imprenditore.
Con il patto di famiglia l’imprenditore può trasferire, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie può trasferire, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti; compatibilmente, però, con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie.
Il nuovo articolo 768-quater prevede che il contratto contenente il patto di famiglia, a pena di nullità deve essere stipulato per atto pubblico, e che vi devono partecipare coloro che sarebbero legittimari (cioè eredi che la legge prevede non possano essere esclusi, come ad esempio il coniuge e i figli) ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore.
Il patto deve prevedere che i beneficiari assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie “compensino” gli altri partecipanti al contratto con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote riservate ai legittimari (a meno che questi non vi rinuncino in tutto o in parte); i contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura; in questo caso i beni in natura assegnati a favore degli altri legittimari (non assegnatari dell’azienda) “sono imputati alle quote di legittima loro spettanti” , cioè sono da considerarsi un anticipo sulla futura successione.
Il trust è un istituto di origine anglosassone, non disciplinato dalla legge italiana, che tuttavia si è obbligato a riconoscerlo, in presenza di certe condizioni, avendo sottoscritto la Convenzione de L’Aja, del 1° luglio 1985, ratificata con la legge 16 ottobre 1989, n. 364, entrata in vigore il 1° gennaio 1992.
Di recente il Parlamento Italiano, con la legge Finanziaria per l’anno 2007, ha introdotto un’espressa disciplina in materia di trattamento tributario del trust ai fini delle imposte dirette.
Il trust è rapporto giuridico che sorge per effetto della stipula di un atto tra vivi o di un testamento, con cui un soggetto (settlor o disponente) trasferisce ad un altro soggetto (trustee) beni o diritti con l’obbligo di amministrarli nell’interesse del disponente o di altro soggetto (beneficiario) oppure per il perseguimento di uno scopo determinato, sotto l’eventuale vigilanza di un terzo (protector o guardiano), secondo le regole dettate dal disponente nell’atto istitutivo di trust e dalla legge regolatrice dello stesso (che deve essere necessariamente straniera).
L’atto istitutivo di regola prevede che, alla scadenza del trust, il fondo in trust venga trasferito al beneficiario del trust (che può anche essere lo stesso disponente).
E’ anche possibile che il trust sorga per effetto di una dichiarazione unilaterale del disponente, che si dichiara trustee di beni o diritti nell’interesse di beneficiario o per il perseguimento di uno scopo (si parla in tal caso di trust c.d. autodichiarato o dichiarazione unilaterale di trust).
La proprietà dei beni o diritti oggetto del trust spetta al trustee, il quale è però gravato dall’obbligo di amministrarli nell’interesse altrui. I beni o diritti oggetto di trust costituiscono un patrimonio separato rispetto ai rapporti giuridici personali del trustee e pertanto non possono essere aggrediti dai creditori personali del trustee, né fanno parte del regime matrimoniale o della successione del trustee.
La stipula di un trust comprende il negozio istitutivo, con cui il disponente detta le regole del trust; ed il negozio traslativo dei beni o diritti al trustee (il quale di regola contiene anche l’accettazione del trustee). Questi due negozi di regola sono contenuti in unico documento. Nel caso del trust c.d. autodichiarato non vi sarà negozio traslativo dei beni, in quanto le figure del disponente e del trustee coincidono, pur potendo tale negozio definirsi dispositivo in senso lato.
Il truste e ha la titolarità dei beni costituiti in trust ed ha l’obbligo di amministrarli in conformità delle istruzioni dettate dal disponente. E’ possibile tuttavia che l’atto istitutivo di trust ponga limiti all’attività del trustee. Qualora il trustee, in violazione dei propri obblighi, abbia compiuto atti dispositivi sui beni in trust o li abbia confusi con i propri beni personali saranno esercitabili, nei limiti consentiti dalle norme di conflitto del foro, i rimedi di cui all’art. 11, paragrafo secondo, lettera d) della Convenzione de L’Aja.
L’atto con cui beni immobili vengono trasferiti dal disponente al trustee va trascritto nei registri immobiliari.
Trattasi di una figura che consente ad un soggetto di creare un patrimonio vincolato con determinati beni (solo beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri), per realizzare interessi meritevoli di tutela e riferibili a persone disabili, Pubbliche amministrazioni (o altri Enti) ovvero anche persone fisiche in genere.
I beni conferiti possono essere sottoposti ad azioni esecutive solamente per i debiti contratti per lo scopo di destinazione.
Interessi sicuramente meritevoli di tutela possono considerarsi quelli relativi alla tutela disabili, famiglie in crisi, convivenze more uxorio, tutela famiglie allargate, garanzia in attività di impresa

Nel diritto civile italiano il fondo patrimoniale è un complesso di beni, siano essi immobili, mobili registrati o titoli di credito, costituito ai fini di soddisfare i bisogni della famiglia.
Esso può essere costituito dai coniugi, anche durante il matrimonio, tramite atto di costituzione; oppure può essere costituito da un terzo.
La proprietà dei beni conferiti spetta ad entrambi i coniugi. Non possono beneficiarne le coppie di fatto, e cessa i suoi effetti in caso di morte del coniuge, separazione, divorzio, annullamento del matrimonio.
Storicamente, l’istituto del fondo patrimoniale ha sostituito il patrimonio familiare e la dote. Attualmente è regolato dagli art. 167 e ss. del codice civile
La sua funzione principale è quella di soddisfare i bisogni della famiglia (e cioè i bisogni relativi ai diritti di mantenimento, assistenza e contribuzione).
Importante è sottolineare che sui beni oggetto del fondo patrimoniale non è possibile agire forzosamente; i beni ed i frutti rispondono solo per obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia.
Si presumono relativi al soddisfacimento di esigenze famigliari anche i debiti contratti per la propria attività lavorativa o imprenditoriale.

La Srl semplificata è stata introdotta dal decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012 n. 27 (l’articolo 3 introduce un apposito articolo del codice civile, il 2463-bis) ed è possibile costituirla in base al decreto ministeriale 23 giugno 2012, n. 138.
Le Srl semplificata non richiede ai soci costituendi limiti minimi di età (è stata eliminata la soglia dei 35 anni), abolendo anche l’originario obbligo di scegliere come amministratori soltanto giovani soci.
La sua costituzione soggiace ai seguenti limiti:
-Requisito di capitale da 1 a 9.999 euro.
-Soci ammissibili una o più persone fisiche.
-Capitale sociale sottoscritto e interamente versato all’atto della costituzione.
-Denominazione sociale indicata in atto costitutivo, corrispondenza della società e spazio elettronico destinato alla comunicazione telematica ad accesso pubblico (“società a responsabilità limitata semplificata“), assieme ad ammontare del capitale sottoscritto e versato, sede della società e ufficio del registro delle imprese presso cui è iscritta.
Atto costitutivo e spese di apertura: deve corrispondere al Modello di Statuto Societario come prescritto dal D.M. n.138/2012,
Per le spese, non si pagano imposte di bollo, diritti di segreteria e onorario notarile.
Per aprirla si spendono 168 euro di imposta di registro più le tasse camerali.

Il venditore ha innanzitutto l’obbligo di consegnare l’immobile venduto nello stato di fatto in cui si trova, libero da persone e cose, all’acquirente al momento del contratto notarile di compravendita, contestualmente al saldo del prezzo.
E’ sua facoltà, comunque, di consentire al futuro acquirente di immettersi nell’immobile anche prima del vero e proprio passaggio di proprietà, fermo restando che essendo egli ancora proprietario del bene ne è come tale sempre responsabile a livello civile, penale, amministrativo e fiscale.
Viceversa il venditore può essere autorizzato dal neo acquirente a permanere nell’immobile ceduto o comunque a ritardare la consegna anche in un momento successivo.
Il venditore infine ha l’obbligo: di indicare al notaio il titolo di provenienza dell’immobile, dal quale risulti la legittima proprietà dello stesso e gli estremi del titolo urbanistico abilitativo (licenza, concessione, permesso a costruire, dichiarazione di inizio attività …) del fabbricato venduto; di produrre tutta la documentazione amministrativa in caso di condono edilizio; presentare il Certificato di Destinazione Urbanistica rilasciato dal Comune competente in caso di alienazione di terreni; di presentare il certificato di agibilità nonché la documentazione relativa agli impianti.
E’opportuno sottolineare che il notaio non solo coadiuva le parti nel reperimento della documentazione e delle informazioni necessarie, ma esegue nell’ambito delle sue cognizioni e competenze, anche e soprattutto i dovuti controlli circa la veridicità di quanto dalla parte venditrice dichiarato, a garanzia del perfezionamento il più possibile solerte e sicuro della compravendita.
Il venditore garantisce altresì il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa; di pagare tutte le spese condominiali, anche solo deliberate, sino alla data di vendita salvo patto contrario; di pagare l’I.M.U. sino a tutto il mese di vendita, nel caso in cui il trasferimento avvenga decorsi già 15 giorni del mese stesso, altrimenti sino al mese precedente a quello di conclusione del contratto nel caso ciò avvenga nei primi 15 giorni

Accade di frequente che, visionato e scelto l’immobile da acquistare si arrivi ad un sostanziale accordo con la controparte, seppur non ancora formalizzato per iscritto.
E’ consigliabile allora, sin da questo momento, rivolgersi al notaio ancora prima della firma del contratto preliminare di compravendita (il cosiddetto compromesso).
Con il contratto preliminare, infatti, entrambi i contraenti si obbligano a stipulare, entro una certa data ed a date condizioni, il contratto definitivo di compravendita. Nascendo così da tale accordo preliminare (seppur concluso privatamente) degli impegni giuridicamente validi e pienamente vincolanti per le parti (e come tali addirittura eseguibili forzatamente con l’intervento del Giudice).
Si comprende chiaramente, quindi, come sia opportuno effettuare tutta quella serie di controlli ed accertamenti di cui si parlava poc’anzi (piena titolarità in capo a chi vende, libertà dell’immobile da ogni genere di vincoli e pesi, regolarità catastale ed urbanistico-edilizia) anteriormente alla sottoscrizione del cosiddetto compromesso, il quale, si ripete, non solo vincola legalmente i contraenti quantunque redatto privatamente, ma anche in quanto di prassi comporta per il futuro acquirente il contestuale versamento di una somma di denaro (spesso anche ingente) a titolo di anticipo del corrispettivo finale pattuito. Affidandosi, dunque, immediatamente al notaio, si ha la possibilità di avere un quadro giuridico completo della situazione, si ottengono informazioni e consigli preziosi per il positivo esito della compravendita, e si evita così, in sostanza, il rischio di concludere contratti preliminari (con conseguente assunzione di impegni e versamento di somme) che probabilmente non si sarebbero sottoscritti affatto ove si fosse conosciuta con completezza la situazione o non si sarebbero comunque conclusi a quelle condizioni e con quei termini.
Con il suo intervento il notaio, riversa su entrambe le parti, in posizione di imparzialità (a garanzia quindi anche del futuro venditore stesso) la sua preparazione giuridica, consigliando le migliori soluzioni per la fattispecie concreta effettuando tutti i controlli e le verifiche del caso (comunque necessarie in previsione del successivo contratto definitivo), redigendo egli stesso il contratto preliminare ed in tal modo talvolta anche conciliando e mediando, ove possibile, le divergenti posizioni delle parti (ad esempio in merito ad anticipi del corrispettivo, alla fissazione del termine finale per la stipula dell’atto definitivo – ben conoscendo egli, una volta valutata l’intera fattispecie, i tempi tecnici necessari per addivenire alla stipula finale – alla consegna delle chiavi, tanto per citare alcuni dei punti più delicati e statisticamente più dibattuti tra i contraenti).
Quantunque oggi, quindi, sia alquanto frequente che le agenzie immobiliari oltre a svolgere la consueta attività di mediazione, curino anche la redazione e la stipulazione del contratto di compromesso, appare in genere consigliabile prima rivolgersi al notaio di fiducia per il cui ministero ci si avvarrà per il contratto definitivo, al fine di ottenere dallo stesso, previa esibizione della minuta del contratto preliminare da sottoscrivere, tutte le informazioni ed i suggerimenti del caso, come sopra evidenziati.
Con una legge del 1997 è stata resa possibile la trascrizione dei contratti preliminari purché risultino da atto pubblico o da scrittura privata autenticata (è quindi indispensabile “l’intervento” del notaio) ed i cui effetti cessano e si considerano mai prodotti se entro un anno dalla data convenuta dalle parti per la conclusione del contratto definitivo, ed in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la trascrizione del definitivo: la trascrizione, col suo effetto “prenotativo” e “pubblicitario”, tutela il promissario acquirente da un possibile inadempimento del promittente venditore, in particolar modo nel caso in cui intenda vendere a terzi l’immobile già in precedenza promesso in vendita ad altro promissario acquirente.
La trascrizione ha una funzione in tal caso essenziale per la tutela del futuro acquirente, in ragione della “opponibilità erga omnes”, che determina con riguardo a quel contratto preliminare, nel senso che nessun soggetto diverso da quelli del compromesso, dopo l’effettuazione della trascrizione stessa, potrà dire che non era a conoscenza del preliminare trascritto e quindi del fatto che quell’immobile era ormai sostanzialmente “prenotato”: la trascrizione del preliminare pone l’acquirente al riparo da ogni vicenda pregiudizievole che colpisca l’immobile (ad esempio: ipoteche o pignoramenti e vendita fraudolenta a terzi) nel lasso di tempo tra preliminare e definitivo; persino in caso di fallimento del venditore, la trascrizione del preliminare rende molto più agevole recuperare in tutto o in parte le somme versate (in sede fallimentare il promissario acquirente ha una posizione privilegiata rispetto agli altri creditori).
Da ultimo, si deve sottolineare che, relativamente alla registrazione del contratto preliminare, la tassazione imposta dalla legge sulla caparra eventualmente prevista (0,5%) ovvero sugli acconti versati (3%) viene recuperata in sede di stipula del definitivo, ossia le imposte così pagate vengono a defalcare quanto dovuto per l’imposta principale al momento della registrazione del contratto definitivo.
Se, dunque, la trascrizione del contratto preliminare e quindi l’intervento del notaio è una facoltà delle parti (facoltà sicuramente consigliabile stante quanto sopra detto in merito alle garanzie che ne derivano), obbligo delle parti ed ora delle agenzie immobiliari è quello di provvedere alla registrazione di tale contratto, pur se stipulato privatamente.
Il notaio saprà darvi tutte le informazioni necessarie sulla natura del documento da firmare e sul contenuto del documento, al fine di evitarvi spiacevoli sorprese

Il trasferimento di un immobile è soggetto a differenti imposte, che gravano sempre su chi lo acquista, ma che variano a seconda del soggetto venditore, dell’acquirente e del tipo di immobile.
In via preliminare, occorre precisare che l’acquisto di un fabbricato da una impresa, ad esempio dal costruttore, è solitamente soggetto a IVA, mentre l’acquisto da altri soggetti, ad esempio un proprietario privato, è sempre soggetto ad imposta di registro.
All’imposta di registro o all’IVA, che sono alternative, si aggiungono inoltre le imposte ipotecaria e catastale, con un prelievo che avviene al momento della compravendita che viene versato al notaio che stipula l’atto, e da questi poi riversato allo Stato.

Sull’acquisto della prima casa è dovuta sul prezzo di vendita

  1. se si acquista da una impresa (ad es.: il costruttore)
    - l’IVA al 4%
    - l’imposta ipotecaria in misura fissa  di € 200,00
    - l’imposta catastale in misura fissa di € 200,00
  2. se si acquista da un propietario privato
    -l’imposta di registro al 2%
    (l’acquirente – a determinate condizioni e opportunamente consultato il notaio – può chiedere che la base imponibile sia determinata in base alla rendita catastale rivalutata, a prescindere dal prezzo pattuito, cd. meccanismo del prezzo/valore)
    -l’imposta ipotecaria in misura fissa  € 50,00
    -l’imposta catastale in misura fissa di  € 50,00
    Le pertinenze della prima casa (box, cantine, tettorie, posto auto)
    -fruiscono delle stesse agevolazioni
    -con il limite di una pertinenza per ogni categoria (ad es.: box).

Se per l’acquisto della prima casa ci si è avvalsi di una agenzia immobiliare
- è prevista la detrazione ai fini Irpef (nella misura del 19%) dei      compensi corrisposti alla agenzia

- per un importo non superiore a 1.000 euro

- in pratica si  riconosce una detrazione massima del 19% di 1.000 euro = 190,00 euro

- che andrà ripartita in ragione della percentuale di proprietà in caso di acquisto tra più proprietari (ad es. i coniugi).

Chi acquista la prima casa può fruire delle agevolazioni a condizione che:

-non sia proprietario, nello stesso Comune, altro immobile idoneo ad essere adibito ad abitazione, neppure in comunione con il coniuge;

-non sia titolare di diritti di uso, usufrutto, abitazione su altro immobile nel medesimo Comune;

-non sia titolare, interamente o per quote,  di altro immobile su tutto il territorio nazionale, per il quale abbia già fruito delle agevolazioni ;

-l’immobile si trovi nel Comune in cui l’acquirente ha stabilito o stabilirà  la propria residenza entro 18 mesi dall’acquisto, o nel quale svolge la propria attività;

-l’immobile acquistato non sia considerato “di lusso”.

Gli accordi o contratti di convivenza devono risultare da apposito atto scritto – con cui la coppia definisce le regole della propria convivenza attraverso la regolamentazione dell’assetto patrimoniale della stessa – prima che abbia inizio o durante lo svolgimento del rapporto – ed alcuni limitati aspetti inerenti i rapporti personali (ad es. la designazione dell’amministratore di sostegno). L’accordo può essere impiegato anche per regolamentare le conseguenze patrimoniali della cessazione della convivenza.
Si tratta di un contratto redatto dal notaio a cui le parti si rivolgono per ottenere un prodotto giuridico mirato, cucito addosso alle proprie specifiche esigenze con un taglio pratico, qualora si intenda iniziare una convivenza e sorga l’esigenza di “programmarne” lo svolgimento, ad esempio in fase d’acquisto di un immobile o nell’ambito di una vicenda successoria.
È possibile disciplinare i diversi aspetti patrimoniali che riguardano:
1. le modalità di partecipazione alle spese comuni, e quindi la definizione degli obblighi di contribuzione reciproca dell’apporto di ciascun partner nelle spese comuni o nell’attività lavorativa domestica ed extradomestica;
2. i criteri di attribuzione della proprietà dei beni acquistati nel corso della convivenza (potendo addirittura definire un regime di comunione o separazione);
3. le modalità di uso della casa adibita a residenza comune (sia essa di proprietà di uno solo dei conviventi o di entrambi i conviventi ovvero sia in affitto);
4. le modalità per la definizione dei reciproci rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza, al fine di evitare nel momento della frattura, tutte quelle discussioni e rivendicazioni, causate dalle inevitabili tensioni del momento, che potrebbero rendere difficile trovare un accordo.
Il contratto può contenere anche disposizioni inerenti la facoltà di assistenza reciproca, in tutti i casi di malattia fisica o psichica (o qualora la capacità di intendere e di volere di una delle parti risulti comunque compromessa), o la designazione reciproca ad amministratore di sostegno.
Poiché in Italia esiste il divieto dei patti successori e quindi non possono essere disciplinati attraverso il contratto di convivenza i rapporti successori, si può disporre dei propri beni attraverso il testamento inserendo eventuali clausole a favore del convivente more uxorio (es. istituzione di erede del convivente more uxorio; legato del diritto di abitazione in favore del convivente more uxorio; legato del diritto di abitazione e del diritto di prelazione in favore del convivente more uxorio).
Dal contratto di convivenza nascono dei veri e propri obblighi giuridici a carico delle parti che lo hanno sottoscritto. Pertanto la violazione di taluno degli obblighi assunti con il contratto di convivenza legittima l’altra parte a rivolgersi al giudice per ottenere quanto le spetta (ad esempio se è previsto che i beni acquistati durante la convivenza debbono ritenersi di proprietà comune, se chi, singolarmente, ha acquistato un bene non provvede, nei termini dell’accordo, a perfezionare l’atto di trasferimento al partner della quota di una metà, quest’ultimo potrà chiedere al Giudice la cd. esecuzione in forma specifica, ossia l’emissione di una sentenza che produca gli stessi effetti dell’atto traslativo non stipulato).
Ovviamente gli accordi contenuti in un contratto di convivenza hanno valore limitato alle parti che hanno stipulato tali accordi, escluso ogni effetto nei confronti di terzi (in applicazione del principio generale che regola gli effetti di ogni contratto, quale sancito dall’art. 1372 c.c.) (ad es. se è stato previsto che i beni acquistati durante la convivenza debbano considerarsi comuni, necessita pur sempre, in caso di acquisto fatto da un solo convivente, un successivo atto di trasferimento della quota di ½, affinchè la situazione di contitolarità possa essere fatta valere anche nei confronti dei terzi; non può con il contratto di convivenza essere introdotto un meccanismo di acquisto automatico in comunione, del tipo di quello previsto per le persone coniugate dagli artt. 159 e segg. c.c., relativi al regime della comunione legale dei beni).
Per stipulare un contratto di convivenza al notaio vanno presentati:
1. i documenti di identità (ad es. carta d’identità);
2. le tessere sanitarie per l’attribuzione del codice fiscale;
3. i certificati che comprovano lo stato civile dei conviventi (stato libero, separazione legale, divorzio, ecc…);
4. eventuali accordi e/o pronunce di separazione o divorzio che abbiano precedentemente interessato uno o anche entrambi i partners, dai quali potrebbero derivare obblighi e statuizioni tali da poter incidere sul contenuto dello stipulando contratto di convivenza.
Andranno, poi, presentati tutti i documenti relativi ai beni, ai rapporti, alle situazioni che si intendono disciplinare con il contratto di convivenza, di modo che il notaio incaricato possa disporre di tutte le informazioni necessarie o anche soltanto utili per la sua redazione; ad esempio se con il contratto di convivenza si intendono disciplinare le modalità di uso della casa adibita a residenza comune, necessiterà copia dell’atto di acquisto di detta casa, se di proprietà di uno o di entrambi i conviventi, ovvero copia del contratto di locazione, se detenuta in locazione.
La durata “naturale” del contratto di convivenza coincide con la durata del rapporto di convivenza. E’ logico quindi subordinare gli effetti del contratto alla permanenza del rapporto di convivenza.
Ciò non toglie che vi siano alcuni accordi destinati a produrre i loro effetti proprio a partire dalla cessazione del rapporto di convivenza: si pensi a tutti gli accordi che fissano le modalità per la definizione dei reciproci rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza, al fine di evitare nel momento della frattura, tutte quelle discussioni e rivendicazioni, causate dalle inevitabili tensioni del momento. Se nel contratto sono contenuti anche accordi di questo tipo, alla cessazione del rapporto di convivenza, il contratto continuerà a trovare applicazione proprio per disciplinare la fase di definizione dei rapporti patrimoniali e la divisione dei beni comuni, mentre cesserà di produrre qualsiasi effetto con riguardo a tutti i restanti accordi che presuppongono il permanere di un rapporto di convivenza (gli accordi sulla partecipazione alle spese comuni, gli accordi sull’acquisto in comune di beni, ecc. ecc.).
Il contratto di convivenza è un vero e proprio contratto, e come tale soggetto alle disposizioni dettate per tutti i contratti in generale, per cui lo stesso non può essere sciolto che per mutuo consenso (e cioè grazie ad un nuovo accordo tra le medesime parti, comportante la risoluzione del contratto a suo tempo stipulato) ovvero per le cause ammesse dalla legge; così, ad esempio, ciascun partner potrà chiedere la risoluzione del contratto di convivenza:
1. in caso di inadempimento dell’altro partner, purchè non di scarsa importanza (artt. 1453 e segg. c.c.);
2 .in caso sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta (artt. 1463 e segg. c.c.);
3. in caso di prestazione divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili (artt. 1467 e segg. c.c.).
Inoltre le parti potranno riservarsi, con apposite clausole inserite nel contratto di convivenza, la facoltà di recesso (art. 1373 c.c.). L’esercizio della facoltà di recesso potrà, a seconda di quanto pattuito, dalle parti:
1. essere totalmente libero ovvero essere subordinato al verificarsi di determinati eventi o condizioni;
2. essere gratuito o essere subordinato al pagamento, all’altra parte, di un corrispettivo (la cd. “caparra penitenziale”).
Non esiste un costo “fisso” per simili contratti, proprio perché non si tratta di contratti “standard” a contenuto prefissato. Si tratta, infatti, di contratti a contenuto “variabile”, a seconda di quelle che sono le esigenze e le aspettative dei conviventi.
Tutto, quindi, dipende da quello che in concreto viene regolamentato con il contratto di convivenza.
Lo stesso trattamento fiscale varia a seconda del tipo di accordi che vengono siglati (imposta di registro o imposta di donazione per eventuali trasferimenti di beni o assunzioni di obbligazioni a titolo gratuito).
Sono ritenute ammissibili clausole volte alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali inerenti il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli, posto che incombe su entrambi i genitori l’ obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole (Art. 30 della Costituzione: “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori del matrimonio). Si tratterebbe, comunque, di clausole sempre suscettibili di essere revocate e modificate se ciò fosse richiesto al fine di perseguire l’interesse dei figli (da considerarsi sempre preminente rispetto all’interesse dei conviventi al rispetto degli accordi tra gli stessi intervenuti).

In linea di principio la nostra legge consente l’acquisto di beni immobili da parte di stranieri con le seguenti, diverse modalità:
1) straniero non regolarmente soggiornante: solo se un trattato internazionale lo consente oppure se vi sia reciprocità e cioè se nel suo Paese d’origine è permesso ad un italiano comprare una casa;
2) straniero “regolarmente soggiornante”, loro familiari ed apolidi in Italia da meno di tre anni: con permesso di soggiorno per specifici motivi o carta di soggiorno;

3) cittadino comunitario ed EFTA o apolide residente da più di tre anni: senza limiti.
Risulta subito evidente, quindi, che è necessario – per sapere quali documenti servono in concreto per poter acquistare diritti in Italia – individuare a quale di queste categorie uno straniero può riferirsi.
Lo straniero può ricevere agevolazioni fiscali, come la “prima casa”?
La legge italiana vuole facilitare ed incoraggiare l’acquisto della propria “prima casa”, diminuendo in vari modi le imposte per chi la compra. In particolare, al momento dell’acquisto, chi compera paga il 2% (imposta di registro, con un minimo di Euro 1.000, oltre alle imposte ipotecarie e catastali di Euro 50 ciascuna) se compera da un soggetto privato, ovvero paga il 4% (IVA) se compera da una impresa o società (salvo qualche ipotesi particolare), oltre alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa, pari complessivamente a Euro 600.
Lo straniero è ammesso a godere delle agevolazioni “prima casa” se ne possiede i requisiti, che, ovviamente, sono i medesimi richiesti per gli italiani.

Infatti l’art. 40 T.U. 286/98 prevede il c.d. diritto di accesso alla prima casa di abitazione.
Gli stranieri regolarmente soggiornanti che siano iscritti alle liste di collocamento o svolgano attività di lavoro subordinato o autonomo hanno diritto di accedere, in condizioni di parità con i cittadini italiani, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica ed al credito agevolato in materia di edilizia, recupero, acquisto e locazione della prima casa di abitazione.

Un’altra agevolazione fiscale collegata all’acquisto della “prima casa” riguarda la detraibilità (in una certa misura) dall’imposta sul reddito degli interessi pagati sui mutui stipulati per l’acquisto della c.d. prima casa.
Infine, il reddito prodotto dalla “prima casa” non è assoggettato all’imposta sul reddito.
Uno straniero che non parla l’italiano può partecipare ad un atto notarile?
Secondo la legge notarile, gli atti notarili devono essere scritti in lingua italiana (art. 54).

Questo però non significa che gli stranieri che non parlano l’italiano non possano fare dei contratti – in forma di atto notarile – in Italia.

Infatti la legge notarile prevede che quando le parti non conoscano la lingua italiana, l’atto notarile possa essere scritto anche in una lingua straniera (che tutte le persone che partecipano all’atto conoscono) se e purché questa sia conosciuta dai testimoni e dal notaio.

Se, invece, il notaio non conosce la lingua straniera, allora l’atto si potrà e si dovrà fare con l’intervento di un interprete, che legga alle persone la traduzione dell’atto preparato dal notaio e garantisca che le stesse persone ne hanno capito bene il contenuto e le conseguenze legali.

L’atto pubblico che venga scritto in italiano ma riguardi un contratto tra persone che non parlano l’italiano, né una lingua conosciuta dal notaio è nullo, cioè non produce nessuno degli effetti che le parti si aspettano (ad esempio, non fa acquistare la casa, non fa concludere efficacemente il contratto di mutuo, non comporta una efficace iscrizione di ipoteca).
Quali documenti sono necessari per lo straniero?
Permesso di soggiorno e carta di soggiorno.
Il permesso di soggiorno è il documento rilasciato allo straniero che debba rimanere nel territorio dello Stato per un periodo superiore a 30 giorni (art. 5 D.Lgs. 286/1998; art. 10 D.P.R. 394/1999).  

Se rilasciato per determinati, tassativi motivi, il permesso di soggiorno attribuisce allo straniero la condizione di “regolarmente soggiornante”, che in pratica lo “parifica” al cittadino italiano, riconoscendogli quasi tutti gli stessi diritti.

Sono da considerarsi regolarmente soggiornanti (resident aliens) gli extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno per

a) motivi di lavoro:
- autonomo o subordinato – esercizio di impresa individuale (in realtà non esiste in forma autonoma. rientra nel soggiorno per motivi di lavoro)

b) motivi familiari, collegati però a permessi di soggiorno per i motivi indicati sotto la lettera a).

Se rilasciato per motivi diversi, invece, il permesso di soggiorno non dà allo straniero extra-comunitario diritti simili al cittadino italiano, a meno che ricorra la c.d. condizione di reciprocità.
Carta di soggiorno
Art. 9 D.Lgs. 286/1998, di recente, tra l’altro, modificato con il decreto legislativo 8 gennaio 2007 n. 3 (in attuazione della direttiva europea 2003/109/CE).
E’ un documento amministrativo che consente allo straniero di soggiornare regolarmente in Italia, con la possibilità di godere di diritti praticamente uguali a quelli dei cittadini italiani.

E’ più vantaggiosa del permesso di soggiorno perché:
- ha durata indeterminata e, quindi, non richiede rinnovi;
- consente lo svolgimento di tutte le attività lecite, salve quelle che la legge espressamente vieta allo straniero o riserva al cittadino;
- consente l’accesso ai servizi e prestazioni della P.A..

Essa, però, viene rilasciata solo in presenza di presupposti più rigorosi rispetto al permesso di soggiorno:
- al resident alien (Straniero regolarmente soggiornante) che sia in Italia da almeno 5 anni, con permesso di soggiorno rinnovabile senza limiti, che dimostri di avere un reddito adeguato;
- allo straniero coniuge convivente di cittadino italiano o di cittadino comunitario residente in Italia, o che abbia i requisiti per il ricongiungimento (artt. 29 e 30 T.U. 286/98).

Costituisce valido documento di identità per 5 anni dal rilascio.

Conferisce lo status di “soggiornante di lungo periodo”.
Sono esclusi dal riconoscimento dello status gli stranieri pericolosi per la pubblica sicurezza.

Stranieri in possesso di titolo di soggiorno scaduto e che abbiano presentato domanda di rinnovo

Con direttiva del Ministro dell’Interno del 20 febbraio 2007 (preceduta da conformi provvedimenti) è stato confermato che lo straniero, il quale abbia in corso il rinnovo del permesso di soggiorno, conserva i proprio diritti fino alla definizione della pratica se la domanda è stata regolarmente e tempestivamente presentata.

Con Circolari n. 16/2007 e 17/2007 del 2 aprile 2007, il Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli affari interni e territoriali – ha, inoltre, chiarito che può essere rilasciato o rinnovato il documento d’identità (non valido per l’espatrio), agli stranieri iscritti in anagrafe e che abbiano presentato regolare e tempestiva domanda di rinnovo del titolo di soggiorno.
Se uno straniero ha più cittadinanze, quale si considera?
Nel caso di persone con più cittadinanze, al fine di valutare quale sia la sua condizione giuridica in Italia (cioè quale “tipo” di straniero sia), applicando il nostro sistema di diritto internazionale privato (legge 218/1995, conflicts of law) si ritiene che:
- se tra le varie cittadinanze c’è quella italiana: si considera cittadino italiano;
- se la persona ha più cittadinanze ma non quella italiana: si applica l’art. 19 della legge 218/1995, e quindi si applica la legge del Paese con cui la persona ha il legame più stretto.
Un atto straniero può essere usato in Italia?
Sì, un atto straniero, cioè un documento formato all’estero, può essere validamente usato in Italia, ma deve avere alcune caratteristiche specifiche.
I consolati italiani all’estero possono ricevere atti che devono essere usati in Italia. In alcuni Paesi (Austria, Belgio, Francia, Germania e Lettonia) gli uffici consolari italiani non esercitano più le funzioni notarili ed è necessario rivolgersi ad un notaio di quel Paese.
Se, invece, l’atto è scritto in lingua straniera deve innanzitutto avere una traduzione in italiano, che può essere fatta da un interprete all’estero e certificata corretta da un consolato italiano, oppure potrebbe essere fatta dal notaio italiano che conosca la lingua straniera.

Inoltre, deve essere legalizzato oppure deve avere l’Apostille. Ci sono però degli accordi internazionali tra vari Stati (ad esempio Italia, Austria, Francia, Germania) che rendono superflua anche l’Apostille.

Infine, il documento straniero dovrà essere depositato presso un notaio (o l’Archivio notarile della città). Questo deposito non è necessario quando il documento straniero venga allegato all’atto di un notaio italiano, come ad esempio una procura.
Il mutuo è un contratto con il quale una parte, detta mutuante (di solito una banca), trasferisce una determinata quantità di denaro a favore dell’altra, detta mutuatario, al fine che quest’ultima possa goderne per un tempo determinato a fronte del pagamento alla prima di un corrispettivo rappresentato da interessi.
Così schematizzata la struttura essenziale e la funzione del contratto, si deve subito evidenziare che un mutuo in concreto è arricchito di svariate clausole non sempre di immediata comprensione, ma necessarie a regolare tutti i rapporti tra le parti per la durata prevista: modalità di erogazione del mutuo, fissazione dei termini di rimborso del capitale e di pagamento degli interessi, determinazione di altre spese per gli oneri di amministrazione del contratto, disciplina di estinzione anticipata, prestazione e manutenzione delle garanzie, conseguenze degli inadempimenti relativi (ritardi) e assoluti (mancato pagamento). Ciascuno di questi aspetti è a sua volta caratterizzato da una notevole ricchezza di possibilità e di sfumature, frutto sia di prassi e regole moderne, sia di una meditazione dottrinale che a giusta ragione può definirsi millenaria (il mutuo è contemplato nel diritto romano classico ed è stato oggetto di studio da parte dei giuristi bizantini, dei giuristi medievali di diritto comune, dei giuristi delle codificazioni dell’età moderna). Attualmente la tematica è ulteriormente arricchita da suggestioni e novità provenienti da Paesi stranieri e dalla disciplina dell’Unione europea. Tutto questo rende l’idea  della effettiva complessità della figura: il contratto di mutuo, tipico prodotto di una prestazione intellettuale, ben si presta a essere concepito come una composizione di ingegneria giuridica, in cui il lavoro di costruzione, dimensionamento e coordinamento delle diverse clausole, caratterizza il risultato nel suo complesso, e ne rende possibile una valutazione in termini di migliore (o peggiore) qualità e convenienza.
I contratti di mutuo sono generalmente predisposti dalle banche; il notaio se incaricato per tempo dal mutuatario può esercitare su di essi un controllo volto a renderli più chiari e comprensibili, a individuare e suggerire soluzioni meglio adatte ai contraenti, ad eliminare clausole che possono ingenerare un non giustificato squilibrio contrattuale.
Se la struttura di base del contratto è quella indicata, può avvenire, abbastanza di frequente, che il mutuo venga stipulato secondo una disciplina speciale, quella del “credito fondiario”. Tale disciplina oggi si distingue ben poco da quella di un mutuo ipotecario “ordinario”, discutendosi addirittura tra gli esperti quando si sia in presenza di una fattispecie oppure di un’altra; tuttavia, esistono delle differenze significative, alcune delle quali saranno evidenziate nelle schede illustrative che seguono.
Non costituisce, invece, una specie particolare, il così detto mutuo unilaterale, diffuso nella recente prassi. La diversità risiede unicamente nel fatto che a recarsi dal notaio (come è indispensabile al fine della concessione della garanzia ipotecaria) è solo il mutuatario: questa modalità di perfezionamento può ridurre, di fatto ed a seconda dei casi, lo spazio del notaio per esercitare la sua funzione di indirizzo e consulenza.
Occorre fin d’ora attirare l’attenzione su un punto essenziale. Non sempre alla stipulazione del mutuo segue immediatamente la materiale disponibilità del denaro: a volte le banche trattengono la somma fino al momento della effettiva acquisizione della garanzia ipotecaria, cioè, in concreto (a seconda dei diversi modelli), anche per una quindicina di giorni (o più) dopo la stipula. Il punto è di notevole importanza in quanto, spesso, il mutuatario ha necessità di disporre del denaro subito, per pagare al venditore la casa che contestualmente concede in garanzia alla banca! Un possibile rimedio consiste nell’ottenere dalla banca un finanziamento “ponte” (o “pre-finanziamento”), che copra il periodo tra la stipulazione del mutuo e il tempo necessario al consolidamento della garanzia; ma non tutte le banche sono a ciò disponibili. Con l’assistenza del notaio si potrà, secondo i casi, cercare di contemperare per quanto possibile le opposte esigenze.
Altra avvertenza concerne un aspetto eventuale: può darsi che il mutuatario preveda che l’immobile acquistato, e concesso in ipoteca, debba essere presto rivenduto per varie esigenze (trasferimento di residenza, aumento dei componenti della famiglia con necessità di una casa più grande, ecc.); conseguentemente fa conto di poter accollare, in conto prezzo, al futuro nuovo acquirente dell’immobile la parte del mutuo che gli resta da pagare. Ora, a parte il fatto che 1) sull’accollo deve essere d’accordo anche l’acquirente, e che, 2) a volte le banche pongono qualche ostacolo all’operazione, bisogna soprattutto ricordare che, per regola generale, 3) l’accollo non è “liberatorio”, ma “cumulativo”: ciò significa che, effettuato l’accollo del residuo mutuo, la banca non cambia debitore, ma ne acquisisce uno in più; per cui, se il nuovo acquirente per caso non riesce a pagare la banca, questa potrà ancora avanzare pretese nei confronti dell’originario mutuatario.
Per questi motivi, la attuale prassi constata un minore ricorso all’accollo: in sostanza il venditore estingue il suo mutuo, mentre l’acquirente, se necessario, ne contrae uno nuovo in proprio. Anche su questo aspetto, il notaio può essere di aiuto, evidenziando le concrete alternative ed i relativi costi.

Il testamento biologico (detto anche: testamento di vita o dichiarazione anticipata di trattamento) è l’espressione della volontà da parte di una persona (il “testatore”), fornita in condizioni di lucidità mentale, in merito alle terapie che intende o non intende accettare nell’eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte (cosiddetto “consenso informato”) per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione.

La parola “testamento” viene presa in prestito dal linguaggio giuridico, con ciò riferendosi ai testamenti tradizionali nei quali, di solito, si lasciano scritti (di pugno) le volontà di divisione dei beni materiali per gli eredi o beneficiari. Nel mondo anglosassone lo stesso documento viene anche chiamato living will (impropriamente tradotto come “volontà del vivente”). La volontà sulla sorte della persona passa ai congiunti di primo grado qualora la persona stessa non è più in grado di intendere e di volere per motivi biologici.

Secondo la Costituzione italiana nessuno può “essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” (art. 32 Cost.).

L’Italia ha, inoltre, ratificato nel 2001 la “Convenzione sui diritti umani e la biomedicina” (legge 28 marzo 2001, n.145) di Oviedo del 1997 che stabilisce che “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento non è in grado di esprimere la propria volontà, saranno tenuti in considerazione”.

È importante sottolineare, tuttavia, che nonostante la legge n. 145 del 2001 abbia autorizzato il Presidente della Repubblica a ratificare la Convenzione, tuttavia lo strumento di ratifica non è ancora depositato presso il Segretariato Generale del Consiglio d’Europa non essendo stati emanati i decreti legislativi previsti dalla legge per l’adattamento dell’ordinamento italiano ai principi e alle norme della Costituzione.

Nel testamento biologico i contenuti possono variare da caso a caso anche perché spesso il testatore scrive cosa pensa in quel momento senza un preciso format (es. donazione degli organi, cremazione, terapia del dolore finanche all’accanimento terapeutico).

Di recente, e per la prima volta, un giudice italiano ha riconosciuto la validità del cd. “testamento biologico” applicando – in mancanza di una specifica disciplina – le disposizioni in materia di amministrazione di sostegno.