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DECRETO-LEGGE N. 133/2014 “SBLOCCA ITALIA”.

DECRETO-LEGGE N. 133/2014 “SBLOCCA ITALIA”.

DECRETO-LEGGE N. 133/2014 “SBLOCCA ITALIA”. NOVITÀ IN MATERIA URBANISTICA: LE MODIFICHE AL TESTO UNICO SULL’EDILIZIA

Allo scopo di semplificare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese ed inoltre per assicurare processi di sviluppo sostenibile, con particolare riguardo al recupero del patrimonio edilizio esistente e alla riduzione del consumo di suolo, il legislatore ha modificato il Testo unico sull’edilizia (D.P.R. n. 380/2001).

Più precisamente l’art. 17 del D.L. n. 133/2014 in esame (disponibile in CNN Notizie del 15 settembre 2014) ha modificato gli artt. 3, 10, 14, 15, 16, 20, 22 del D.P.R. n. 380-2001.

Ha, inoltre, introdotto sempre nel D.P.R. n. 380-2001 le seguenti disposizioni: artt. 3-bis, 23-ter, e 28-bis.

È stato modificato anche l’articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150.

In attesa dell’approvazione da parte della commissione pubblicistica di uno studio che esamini in dettaglio le modifiche introdotte dal D.L. n. 133/2014 in materia di semplificazioni edilizie, in questa sede si segnalano unicamente le novità che in prima battuta appaiono essere maggiormente rilevanti, tenendo sempre presente che trattasi di modifiche introdotte con lo strumento del Decreto Legge.

 

Manutenzione straordinaria (art. 3 e art. 6, 17, del Testo unico dell’edilizia)

L’art. 17 del D.L. n. 133/2014 in esame modifica la nozione di manutenzione straordinaria, ricomprendendo negli interventi di manutenzione straordinaria anche quegli interventi di frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione delle opere anche se comportano la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’ uso (art. 3, comma 1, lettera b, del D.P.R. n. 380-2001).

Quindi in seguito alla predetta modifica si specifica che gli interventi di frazionamento ed accorpamento, purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e rimanga inalterata la destinazione d’uso, rientrano nel concetto di manutenzione straordinaria.

La predetta modifica deve essere letta insieme alla novità introdotta nell’art. 6 del D.P.R. n. 380-2001.

Infatti nell’ambito dell’attività edilizia libera sono ricompresi anche gli interventi di manutenzione straordinaria di cui alla lettera b, comma 1, art. 3 D.P.R. n. 380-2001, ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio (art. 6, comma 2, lettera a) del D.P.R. n. 380-2001).

Per i predetti interventi l’interessato trasmette all’amministrazione comunale la comunicazione di inizio dei lavori asseverata da un tecnico abilitato, il quale attesta, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, ed inoltre che non vi è interessamento delle parti strutturali dell’edificio; la comunicazione contiene, altresì, i dati identificativi dell’impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei lavori (art. 6, comma 4, del D.P.R. n. 380-2001).

Inoltre si specifica che la predetta comunicazione è valida anche ai fini di cui all’articolo 17, primo comma, lettera b), del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, ed è tempestivamente inoltrata da parte dell’amministrazione comunale ai competenti uffici dell’Agenzia delle entrate (art. 6, comma 5, del D.P.R. n. 380-2001)

Infine per i predetti interventi il contributo di costruzione è commisurato alla incidenza delle sole opere di urbanizzazione (art. 17 comma 4, del D.P.R. n. 380-2001).

 

Nozione di interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia e del territorio soggetti al permesso di costruire (comma 1 lettera c dell’art. 10, art. 14 del D.P.R. n. 380-2001)

Il legislatore ha specificato la nozione di intervento di ristrutturazione edilizia soggetto al rilascio del permesso di costruire.

In seguito alla modifica del comma 1, lettera c, dell’art. 10 del D.P.R. n. 380-2001, si specifica che costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire tra l’altro gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti. (art. 10, comma 1, lettera c, del D.P.R. 380-2001)

Inoltre per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di ristrutturazione urbanistica, attuati anche in aree industriali dismesse, dichiarati di interesse pubblico, è ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d’uso, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne deve attestare l’interesse pubblico (art. 14, comma 1-bis D.P.R. 380-2001)

 

Segnalazione certificata di inizio attività in sostituzione dell’espressione denuncia di attività

L’art. 17 del D.L. n. 133/2014 sostituisce l’espressione «denuncia di inizio attività» con la seguente: «segnalazione certificata di inizio attività».

 

Varianti non essenziali sottoposte a segnalazione certificata di inizio attività (art. 22 del D.P.R. n. 380/2001).

Le varianti al permesso di costruire che non configurano una variazione essenziale possono essere realizzate mediante segnalazione certificata di inizio attività e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, a condizione che: siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore.

 

Definizione di mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante (art. 23-ter del D.P.R. n. 380/2001)

L’art. 17 del D.L. n. 133/2014 introduce nel D.P.R. n. 380-2001 la previsione di cui all’art. 23-ter contenente la definizione di mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante.

Secondo l’art. 23-ter «salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:

-residenziale e turistico-ricettiva;

-produttiva e direzionale;

-commerciale;

-rurale.

2. La destinazione d’uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile.

3. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito».

Per aversi mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante dovrà, quindi, ricorrere il seguente presupposto:

- utilizzazione dell’immobile o della singola unità immobiliare, anche senza esecuzione di opere edilizie, diversa da quella originaria e dalla quale derivi l’assegnazione dell’immobile o singola unità immobiliare ad una diversa categoria funzionale tra quelle indicate nel comma 1 dell’art. 23-ter (ossia residenziale e turistico-ricettiva; produttiva e direzionale; commerciale; rurale)

Diversamente, facendo salva una diversa previsione contenuta in leggi Regionali o prevista dagli strumenti urbanistici comunali, il mutamento di destinazione d’uso all’interno della stessa categoria è sempre ammesso.

 

Introduzione del permesso di costruire convenzionato (art. 28-bis del D.P.R. n. 380/2001)

In presenza di determinate condizioni è prevista la possibilità del rilascio del permesso di costruire convenzionato.

Infatti il nuovo articolo 28-bis del D.P.R. n. 380/2001, come introdotto dall’art. 17 del D.L. n. 133/2014, dispone che: «Qualora le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte, sotto il controllo del Comune, con una modalità semplificata, è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato.

2. La convenzione specifica gli obblighi funzionali al soddisfacimento di un interesse pubblico, che il soggetto attuatore si assume ai fini di poter conseguire il rilascio del titolo edilizio, il quale resta la fonte di regolamento degli interessi.

3. Sono, in particolare, soggetti alla stipula di convenzione:

a) la cessione di aree anche al fine dell’utilizzo di diritti edificatori;

b) la realizzazione di opere di urbanizzazione fermo restando quanto previsto dall’articolo 32, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;

c) le caratteristiche morfologiche degli interventi;

d) la realizzazione di interventi di edilizia residenziale sociale.

4. La convenzione può prevedere modalità di attuazione per stralci funzionali, cui si collegano gli oneri e le opere di urbanizzazione da eseguire e le relative garanzie.

5. Il termine di validità del permesso di costruire convenzionato può essere modulato in relazione agli stralci funzionali previsti dalla convenzione.

6. Il procedimento di formazione del permesso di costruire convenzionato è quello previsto dal Capo II del Titolo II del presente decreto. Alla convenzione si applica altresì la disciplina dell’articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241».

 

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Si trascrive di seguito il testo degli articoli del D.P.R. n. 380-2001 come modificati dall’art. 17 del D.L. 133-2014.

 

Art. 3 (Definizioni degli interventi edilizi)

1. Ai fini del presente testo unico si intendono per:

a) “interventi di manutenzione ordinaria”, gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;

b) “interventi di manutenzione straordinaria”, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’ uso;” c) “interventi di restauro e di risanamento conservativo”, gli interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio; d) “interventi di ristrutturazione edilizia”, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente; e) “interventi di nuova costruzione”, quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali: e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6); e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune; e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato; e.4) l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione; e.5) l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee e salvo che siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti; e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale; e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato; f) gli “interventi di ristrutturazione urbanistica”, quelli rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico – edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.

2. Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Resta ferma la definizione di restauro prevista dall’articolo 34 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.

 

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Art. 3-bis (Interventi di conservazione)

1. Lo strumento urbanistico individua gli edifici esistenti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione. In tal caso l’amministrazione comunale può favorire, in alternativa all’espropriazione, la riqualificazione delle aree attraverso forme di compensazione rispondenti al pubblico interesse e comunque rispettose dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa. Nelle more dell’attuazione del piano, resta salva la facoltà del proprietario di eseguire tutti gli interventi conservativi, ad eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario.

 

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Art. 6 (Attività edilizia libera)

1. Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, i seguenti interventi sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo:

a) gli interventi di manutenzione ordinaria;

b) gli interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio;

c) le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico, ad esclusione di attività di ricerca di idrocarburi, e che siano eseguite in aree esterne al centro edificato;

d) i movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari;

e) le serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell’attività agricola.

2. Nel rispetto dei medesimi presupposti di cui al comma 1, previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale, possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo i seguenti interventi:

a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio;

b) le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni;

c) le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l’indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati;

d) i pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori della zona A) di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444;

e) le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici;

e-bis) le modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d’impresa, sempre che non riguardino le parti strutturali, ovvero le modifiche della destinazione d’uso dei locali adibiti ad esercizio d’impresa.

[3. L’interessato agli interventi di cui al comma 2 allega alla comunicazione di inizio dei lavori le autorizzazioni eventualmente obbligatorie ai sensi delle normative di settore e, limitatamente agli interventi di cui alla lettera a) del medesimo comma 2, i dati identificativi dell’impresa alla quale intende affidare la realizzazione dei lavori. ]

4. Limitatamente agli interventi di cui al comma 2, lettere a) ed e-bis), l’interessato trasmette all’amministrazione comunale la comunicazione di inizio dei lavori asseverata da un tecnico abilitato, il quale attesta, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché’ che non vi è interessamento delle parti strutturali dell’edificio; la comunicazione contiene altresì, i dati identificativi dell’impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei lavori.

5. Riguardo agli interventi di cui al comma 2, la comunicazione di inizio dei lavori e’ valida anche ai fini di cui all’articolo 17, primo comma, lettera b), del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, ed e’ tempestivamente inoltrata da parte dell’amministrazione comunale ai competenti uffici dell’Agenzia delle entrate.

6. Le regioni a statuto ordinario:

a) possono estendere la disciplina di cui al presente articolo a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti dai commi 1 e 2;

b) disciplinano con legge le modalità per l’effettuazione dei controlli;

7. La mancata comunicazione dell’inizio dei lavori, di cui al comma 2, ovvero la mancata comunicazione asseverata dell’inizio dei lavori di cui al comma 4,comportano la sanzione pecuniaria pari a 258 euro. Tale sanzione è ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l’intervento è in corso di esecuzione.

[8. Al fine di semplificare il rilascio del certificato di prevenzione incendi per le attività di cui ai commi 1 e 2, il certificato stesso, ove previsto, è rilasciato in via ordinaria con l’esame a vista. Per le medesime attività, il termine previsto dal primo periodo del comma 2 dell’articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 gennaio 1998, n. 37, è ridotto a trenta giorni.)

 

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Art. 10 (Interventi subordinati a permesso di costruire)

1. Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire:

a) gli interventi di nuova costruzione;

b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica;

c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni

2. Le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività.

3. Le regioni possono altresì individuare con legge ulteriori interventi che, in relazione all’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire. La violazione delle disposizioni regionali emanate ai sensi del presente comma non comporta l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 44.

 

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Art. 14 (Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici)

1.Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia.

1 bis. Per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di ristrutturazione urbanistica, attuati anche in aree industriali dismesse, è ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d’uso, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l’interesse pubblico.

2. Dell’avvio del procedimento viene data comunicazione agli interessati ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

3. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonché, nei casi di cui al comma 1 bis, le destinazioni d’uso, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.

 

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Art. 15 (Efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire)

1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.

2. Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, in considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.

2 bis. La proroga dei termini per l’inizio e l’ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell’amministrazione o dell’autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate.

3. La realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 22. Si procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo di costruzione.

4. Il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio.

 

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Art. 16 (Contributo per il rilascio del permesso di costruire)

1. Salvo quanto disposto dall’articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo e fatte salve le disposizioni concernenti gli interventi di trasformazione urbana complessi di cui al comma 2 bis.

2. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all’atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell’interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell’articolo 2, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune.

2-bis. Nell’ambito degli strumenti attuativi e degli atti equivalenti comunque denominati nonché degli interventi in diretta attuazione dello strumento urbanistico generale, l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria di cui al comma 7, di importo inferiore alla soglia di cui all’articolo 28, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, funzionali all’intervento di trasformazione urbanistica del territorio, è a carico del titolare del permesso di costruire e non trova applicazione il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 32, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, per gli interventi di trasformazione urbana complessi, come definiti dall’allegato IV alla Parte Seconda, numeri 7 e 8, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, lo strumento attuativo prevede una modalità alternativa in base alla quale il contributo di cui al comma 1 è dovuto solo relativamente al costo di costruzione, da computarsi secondo le modalità di cui al presente articolo e le opere di urbanizzazione, tenendo comunque conto dei parametri definiti ai sensi del comma 4, sono direttamente messe in carico all’operatore privato che ne resta proprietario, assicurando che, nella fase negoziale, vengano definite modalità atte a garantire la corretta urbanizzazione, infrastrutturazione ed insediabilità degli interventi, la loro sostenibilità economico finanziaria, le finalità di interesse generale delle opere realizzate e dei relativi usi.

3. La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto del rilascio, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione.

4. L’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione:

a) all’ampiezza ed all’andamento demografico dei comuni;

b) alle caratteristiche geografiche dei comuni;

c) alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti;

d) ai limiti e rapporti minimi inderogabili fissati in applicazione dall’articolo 41-quinquies, penultimo e ultimo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modifiche e integrazioni, nonché delle leggi regionali.

d-bis) alla differenziazione tra gli interventi al fine di incentivare, in modo particolare nelle aree a maggiore densità del costruito, quelli di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), anziché’ quelli di nuova costruzione.

5. Nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione e fino alla definizione delle tabelle stesse, i comuni provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale secondo i parametri di cui al comma 4.”;

6. Ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale.

7. Gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato.

7-bis. Tra gli interventi di urbanizzazione primaria di cui al comma 7 rientrano i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai comuni sulla base dei criteri definiti dalle regioni.

8. Gli oneri di urbanizzazione secondaria sono relativi ai seguenti interventi: asili nido e scuole materne, scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo, mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie. Nelle attrezzature sanitarie sono ricomprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate.

9. Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l’edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma dell’articolo 4 della legge 5 agosto 1978, n. 457. Con lo stesso provvedimento le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per l’edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento. Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell’intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione.

10. Nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi, così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso di costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), i comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori determinati per le nuove costruzioni.

 

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Art. 17 (Riduzione o esonero dal contributo di costruzione)

1. Nei casi di edilizia abitativa convenzionata, relativa anche ad edifici esistenti, il contributo afferente al permesso di costruire è ridotto alla sola quota degli oneri di urbanizzazione qualora il titolare del permesso si impegni, a mezzo di una convenzione con il comune, ad applicare prezzi di vendita e canoni di locazione determinati ai sensi della convenzione-tipo prevista dall’articolo 18.

2. Il contributo per la realizzazione della prima abitazione è pari a quanto stabilito per la corrispondente edilizia residenziale pubblica, purché sussistano i requisiti indicati dalla normativa di settore.

3. Il contributo di costruzione non è dovuto:

a) per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell’articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153;

b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari;

c) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici;

d) per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità;

e) per i nuovi impianti, lavori, opere, modifiche, installazioni, relativi alle fonti rinnovabili di energia, alla conservazione, al risparmio e all’uso razionale dell’energia, nel rispetto delle norme urbanistiche, di tutela artistico-storica e ambientale.

4. Per gli interventi da realizzarsi su immobili di proprietà dello Stato, nonché’ per gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’articolo 6, comma 2, lettera a) il contributo di costruzione è commisurato alla incidenza delle sole opere di urbanizzazione.

4 bis. Al fine di agevolare gli interventi di densificazione edilizia, per la ristrutturazione, il recupero e il riuso degli immobili dismessi o in via di dismissione, il contributo di costruzione è ridotto in misura non inferiore al venti per cento rispetto a quello previsto per le nuove costruzioni. I comuni definiscono, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione, i criteri e le modalità applicative per l’applicazione della relativa riduzione.

 

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Art. 20 (Procedimento per il rilascio del permesso di costruire)

1. La domanda per il rilascio del permesso di costruire, sottoscritta da uno dei soggetti legittimati ai sensi dell’articolo 11, va presentata allo sportello unico corredata da un’attestazione concernente il titolo di legittimazione, dagli elaborati progettuali richiesti, e quando ne ricorrano i presupposti, dagli altri documenti previsti dalla parte II. La domanda è accompagnata da una dichiarazione del progettista abilitato che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie nel caso in cui la verifica in ordine a tale conformità non comporti valutazioni tecnico-discrezionali, alle norme relative all’efficienza energetica.

2. Lo sportello unico comunica entro dieci giorni al richiedente il nominativo del responsabile del procedimento ai sensi degli articoli 4 e 5 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. L’esame delle domande si svolge secondo l’ordine cronologico di presentazione.

3. Entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda, il responsabile del procedimento cura l’istruttoria, acquisisce, avvalendosi dello sportello unico, secondo quanto previsto all’articolo 5, comma 3, i prescritti pareri e gli atti di assenso eventualmente necessari e, valutata la conformità del progetto alla normativa vigente, formula una proposta di provvedimento, corredata da una dettagliata relazione, con la qualificazione tecnico-giuridica dell’intervento richiesto.

4. Il responsabile del procedimento, qualora ritenga che ai fini del rilascio del permesso di costruire sia necessario apportare modifiche di modesta entità rispetto al progetto originario, può, nello stesso termine di cui al comma 3, richiedere tali modifiche, illustrandone le ragioni. L’interessato si pronuncia sulla richiesta di modifica entro il termine fissato e, in caso di adesione, è tenuto ad integrare la documentazione nei successivi quindici giorni. La richiesta di cui al presente comma sospende, fino al relativo esito, il decorso del termine di cui al comma 3.

5. Il termine di cui al comma 3 può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro trenta giorni dalla presentazione della domanda, esclusivamente per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità dell’amministrazione o che questa non possa acquisire autonomamente. In tal caso, il termine ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa.

5-bis. Se entro il termine di cui al comma 3 non sono intervenute le intese, i concerti, i nulla osta o gli assensi, comunque denominati, delle altre amministrazioni pubbliche, o è intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate, qualora tale dissenso non risulti fondato sull’assoluta incompatibilità dell’intervento, il responsabile dello sportello unico indice la conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. Le amministrazioni che esprimono parere positivo possono non intervenire alla conferenza di servizi e trasmettere i relativi atti di assenso, dei quali si tiene conto ai fini dell’individuazione delle posizioni prevalenti per l’adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento, di cui all’articolo 14-ter, comma 6-bis, della citata legge n. 241 del 1990, e successive modificazioni.

6. Il provvedimento finale, che lo sportello unico provvede a notificare all’interessato, è adottato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio, entro il termine di trenta giorni dalla proposta di cui al comma 3. Qualora sia indetta la conferenza di servizi di cui al comma 5-bis, la determinazione motivata di conclusione del procedimento, assunta nei termini di cui agli articoli da 14 a 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, è, ad ogni effetto, titolo per la realizzazione dell’intervento. Il termine di cui al primo periodo è fissato in quaranta giorni con la medesima decorrenza qualora il dirigente o il responsabile del procedimento abbia comunicato all’istante i motivi che ostano all’accoglimento della domanda, ai sensi dell’articolo 10-bis della citata legge n. 241 del 1990, e successive modificazioni. Dell’avvenuto rilascio del permesso di costruire è data notizia al pubblico mediante affissione all’albo pretorio. Gli estremi del permesso di costruire sono indicati nel cartello esposto presso il cantiere, secondo le modalità stabilite dal regolamento edilizio. (

7. I termini di cui ai commi 3 e 5 sono raddoppiati nei soli casi di progetti particolarmente complessi secondo la motivata risoluzione del responsabile del procedimento.

8. Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui al comma 9.

9. Qualora l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto a vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, il termine di cui al comma 6 decorre dal rilascio del relativo atto di assenso, il procedimento è concluso con l’adozione di un provvedimento espresso e si applica quanto previsto dall’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. In caso di diniego dell’atto di assenso, eventualmente acquisito in conferenza di servizi, decorso il termine per l’adozione del provvedimento finale, la domanda di rilascio del permesso di costruire si intende respinta. Il responsabile del procedimento trasmette al richiedente il provvedimento di diniego dell’atto di assenso entro cinque giorni dalla data in cui è acquisito agli atti, con le indicazioni di cui all’articolo 3, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni. Per gli immobili sottoposti a vincolo paesaggistico, resta fermo quanto previsto dall’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42e successive modificazioni.

[10. Qualora l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela non compete all'amministrazione comunale, il competente ufficio comunale acquisisce il relativo assenso nell'ambito della conferenza di servizi di cui al comma 5-bis. In caso di esito non favorevole, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-rifiuto. ]

11. Il termine per il rilascio del permesso di costruire per gli interventi di cui all’articolo 22, comma 7, è di settantacinque giorni dalla data di presentazione della domanda.

12. Fermo restando quanto previsto dalla vigente normativa in relazione agli adempimenti di competenza delle amministrazioni statali coinvolte, sono fatte salve le disposizioni contenute nelle leggi regionali che prevedano misure di ulteriore semplificazione e ulteriori riduzioni di termini procedimentali.

13. Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni di cui al comma 1, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al medesimo comma è punito con la reclusione da uno a tre anni. In tali casi, il responsabile del procedimento informa il competente ordine professionale per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari.

 

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Art. 22

1. Sono realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività gli interventi non riconducibili all’elenco di cui all’articolo 10 e all’articolo 6, che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.

2. Sono, altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori.

“2 bis. Sono realizzabili mediante segnalazione certificata d’inizio attività e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalla altre normative di settore.

3. In alternativa al permesso di costruire, possono essere realizzati mediante denuncia di inizio attività:

a) gli interventi di ristrutturazione di cui all’articolo 10, comma 1, lettera c);

b) gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti; qualora i piani attuativi risultino approvati anteriormente all’entrata in vigore della legge 21 dicembre 2001, n. 443, il relativo atto di ricognizione deve avvenire entro trenta giorni dalla richiesta degli interessati; in mancanza si prescinde dall’atto di ricognizione, purché il progetto di costruzione venga accompagnato da apposita relazione tecnica nella quale venga asseverata l’esistenza di piani attuativi con le caratteristiche sopra menzionate;

c) gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche.

4. Le regioni a statuto ordinario con legge possono ampliare o ridurre l’ambito applicativo delle disposizioni di cui ai commi precedenti. Restano, comunque, ferme le sanzioni penali previste all’articolo 44.

5. Gli interventi di cui al comma 3 sono soggetti al contributo di costruzione ai sensi dell’articolo 16. Le regioni possono individuare con legge gli altri interventi soggetti a denuncia di inizio attività, diversi da quelli di cui al comma 3, assoggettati al contributo di costruzione definendo criteri e parametri per la relativa determinazione.

6. La realizzazione degli interventi di cui ai commi 1, 2 e 3 che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative. Nell’ambito delle norme di tutela rientrano, in particolare, le disposizioni di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.

7. E’ comunque salva la facoltà dell’interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi di cui ai commi 1 e 2, senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione di cui all’articolo 16, salvo quanto previsto dal secondo periodo del comma 5. In questo caso la violazione della disciplina urbanistico-edilizia non comporta l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 44 ed è soggetta all’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 37.

 

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Art. 23-ter (Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante)

1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché’ tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:

a) residenziale e turistico-ricettiva;

b) produttiva e direzionale;

c) commerciale;

d) rurale.

2. La destinazione d’uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile.

3. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale e’ sempre consentito.

 

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Art. 24 (Certificato di agibilità)

1. Il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente.

2. Il certificato di agibilità viene rilasciato dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale con riferimento ai seguenti interventi:

a) nuove costruzioni;

b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;

c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1.

3. Con riferimento agli interventi di cui al comma 2, il soggetto titolare del permesso di costruire o il soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio attività, o i loro successori o aventi causa, sono tenuti a chiedere il rilascio del certificato di agibilità. La mancata presentazione della domanda comporta l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 77 a 464 euro.

4. Alla domanda per il rilascio del certificato di agibilità deve essere allegato copia della dichiarazione presentata per la iscrizione in catasto, redatta in conformità alle disposizioni dell’articolo 6 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, e successive modificazioni e integrazioni.

4-bis. Il certificato di agibilità può essere richiesto anche:

a) per singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all’intero intervento edilizio e siano state completate e collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni;

b) per singole unità immobiliari, purché siano completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto all’edificio oggetto di agibilità parziale

 

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Art. 25 (Procedimento di rilascio del certificato di agibilità)

1. Entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento, il soggetto di cui all’articolo 24, comma 3, è tenuto a presentare allo sportello unico la domanda di rilascio del certificato di agibilità, corredata della seguente documentazione:

a) richiesta di accatastamento dell’edificio, sottoscritta dallo stesso richiedente il certificato di agibilità, che lo sportello unico provvede a trasmettere al catasto;

b) dichiarazione sottoscritta dallo stesso richiedente il certificato di agibilità di conformità dell’opera rispetto al progetto approvato, nonché in ordine alla avvenuta prosciugatura dei muri e della salubrità degli ambienti;

c) dichiarazione dell’impresa installatrice che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici adibiti ad uso civile alle prescrizioni di cui agli articoli 113e127, nonché all’articolo 1 della legge 9 gennaio 1991, n. 10, ovvero certificato di collaudo degli stessi, ove previsto, ovvero ancora certificazione di conformità degli impianti prevista dagli articoli 111 e 126 del presente testo unico.

2. Lo sportello unico comunica al richiedente, entro dieci giorni dalla ricezione della domanda di cui al comma 1, il nominativo del responsabile del procedimento ai sensi degli articoli 4 e 5 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

3. Entro trenta giorni dalla ricezione della domanda di cui al comma 1, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, previa eventuale ispezione dell’edificio, rilascia il certificato di agibilità verificata la seguente documentazione:

a) certificato di collaudo statico di cui all’articolo 67;

b) certificato del competente ufficio tecnico della regione, di cui all’articolo 62, attestante la conformità delle opere eseguite nelle zone sismiche alle disposizioni di cui al capo IV della parte II;

c) la documentazione indicata al comma 1;

d) dichiarazione di conformità delle opere realizzate alla normativa vigente in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche di cui all’articolo 77, nonché all’articolo 82.

4. Trascorso inutilmente il termine di cui al comma 3, l’agibilità si intende attestata nel caso sia stato rilasciato il parere dell’A.S.L. di cui all’articolo 5, comma 3, lettera a). In caso di autodichiarazione, il termine per la formazione del silenzio-assenso è di sessanta giorni.

5. Il termine di cui al comma 3 può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro quindici giorni dalla domanda, esclusivamente per la richiesta di documentazione integrativa, che non sia già nella disponibilità dell’amministrazione o che non possa essere acquisita autonomamente. In tal caso, il termine di trenta giorni ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa.

5-bis. Ove l’interessato non proponga domanda ai sensi del comma 1, fermo restando l’obbligo di presentazione della documentazione di cui al comma 3, lettere a), b) e d), del presente articolo e all’articolo 5, comma 3, lettera a), presenta la dichiarazione del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato, con la quale si attesta la conformità dell’opera al progetto presentato e la sua agibilità, corredata dalla seguente documentazione:

a) richiesta di accatastamento dell’edificio che lo sportello unico provvede a trasmettere al catasto;

b) dichiarazione dell’impresa installatrice che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici alle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico valutate secondo la normativa vigente.

5-ter. Le Regioni a statuto ordinario disciplinano con legge le modalità per l’effettuazione dei controlli.

 

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“Art. 28-bis (Permesso di costruire convenzionato)

1. Qualora le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte, sotto il controllo del Comune, con una modalità semplificata, è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato.

2. La convenzione specifica gli obblighi, funzionali al soddisfacimento di un interesse pubblico, che il soggetto attuatore si assume ai fini di poter conseguire il rilascio del titolo edilizio, il quale resta la fonte di regolamento degli interessi.

3. Sono, in particolare, soggetti alla stipula di convenzione:

a) la cessione di aree anche al fine dell’utilizzo di diritti edificatori;

b) la realizzazione di opere di urbanizzazione fermo restando quanto previsto dall’articolo 32, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;

c) le caratteristiche morfologiche degli interventi;

d) la realizzazione di interventi di edilizia residenziale sociale.

4. La convenzione può prevedere modalità di attuazione per stralci funzionali, cui si collegano gli oneri e le opere di urbanizzazione da eseguire e le relative garanzie.

5. Il termine di validità del permesso di costruire convenzionato può essere modulato in relazione agli stralci funzionali previsti dalla convenzione.

6. Il procedimento di formazione del permesso di costruire convenzionato è quello previsto dal Capo II del Titolo II del presente decreto. Alla convenzione si applica altresì la disciplina dell’articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

 

15 febbraio 2016Leggi
Il nuovo art. 2929 bis c.c.: quale futuro

Il nuovo art. 2929 bis c.c.: quale futuro

Il nuovo art. 2929 bis c.c.: quale futuro per la protezione del patrimonio familiare?

1. Introduzione

Il d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito in l. 6 agosto 2015, n. 132, introduce nel codice civile, dopo l’art. 2929, la Sezione I-bis, intitolata “Dell’espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito” la quale contiene solo l’art. 2929 bis, rubricato “Espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito”.

La norma prevede che

Il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri promossa.

Quando il pregiudizio deriva da un atto di alienazione, il creditore promuove l’azione esecutiva nelle forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario.

Il debitore, il terzo assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla conservazione del vincolo possono proporre le opposizioni all’esecuzione di cui al titolo V del libro III del codice di procedura civile quando contestano la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma, nonché la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore.

Di questa norma possono essere date diverse chiavi di lettura. Ci si può limitare all’analisi tecnica, oppure si può provare anche a indagare “cosa c’è dietro”, quali sono – se ve ne sono – le ragioni di ordine politico-economico che ne hanno giustificato l’emanazione (un meccanismo simile è stato introdotto anche nella legge fallimentare, come vedremo).

Da quest’ultimo punto di vista è utile la lettura della relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione del decreto: il legislatore riconosce che il sistema giustizia è del tutto fallimentare, perché ogni anno sopravvengono circa 6.500 nuove cause aventi a oggetto la revocatoria di atti, il tempo medio di definizione è di 1.372 giorni per il primo grado e di 1.546 giorni per il grado di appello. Il creditore deve attendere quindi 8 anni prima di pignorare il bene, anche perché la sentenza che pronuncia la revocatoria di un atto, com’è noto, non ha natura costitutiva, per cui il creditore deve attenderne il passaggio in giudicato.

Ecco quindi che il legislatore, consapevole di non poter ridurre i tempi della giustizia, opera una scelta di campo fra diversi interessi, privilegiando quelli del ceto creditorio a discapito di quelli che stanno alla base dell’atto compiuto dal debitore che, quali essi siano, sembrano passare in secondo piano.

E’ quindi evidente che la norma è il frutto di quella che, con riguardo alle modifiche alla legge fallimentare, è stata definita “contaminazione ideologica”: così come le modifiche alla legge fallimentare apportate con lo stesso d.l. sembrano fondate sull’assunzione (ideologica, appunto) che l’imprenditore, in particolare quello che accede al concordato preventivo, è un bancarottiere[1], allo stesso modo l’art. 2929 bis è fondato sull’assunzione che il debitore che compie uno degli atti indicati è null’altro che un frodatore del creditore.

Il beneficio per il ceto creditorio – in questi termini sempre la relazione di accompagnamento – consisterebbe in una riduzione di tempi e costi necessari al realizzo coattivo del credito. La norma infatti non va letta isolatamente, ma nel contesto delle ulteriori riforme introdotte dal d.l. 83 del 2015, segnatamente quelle, in materia di processo esecutivo e fallimentare, che mirano a velocizzare il più possibile i tempi della vendita. Il beneficio per l’amministrazione della giustizia consisterebbe invece nella possibile riduzione di contenzioso, in ragione dell’eventualità che il debitore o il terzo assoggettato a esecuzione non propongano opposizione.

Il legislatore, infatti, consapevole del fatto che consentire al creditore di assoggettare ad azione esecutiva non i beni del debitore, bensì – nel caso di atto traslativo – i beni di un terzo ha previsto che si possa appunto proporre opposizione secondo il modello di cui agli artt. 615 e 619 c.p.c.

Sempre sul piano delle valutazioni generali la norma inizia con questa frase: “Il creditore che sia pregiudicato (corsivo mio) da un atto del debitore”.

Ecco, fino all’entrata in vigore del d.l., il creditore che affermava di avere subito un pregiudizio da un atto dispositivo del debitore doveva agire in giudizio per ottenerne l’inefficacia, ma esisteva un controllo ex ante da parte del giudice in merito all’esistenza del pregiudizio.

Il debitore, tutto sommato, era più garantito, poteva difendersi, avere spazio per trattare[2]. Gli atti compiuti dal debitore spesso si riducevano a una mera difesa processuale[3], dipendente – come la stessa relazione sottolinea – dalla lunghezza del processo.

A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 2929 bis l’esistenza del pregiudizio può essere semplicemente “affermata” dal creditore, senza alcun controllo preventivo, e tale “affermazione” avviene, implicitamente, con l’esercizio dell’azione esecutiva. Il controllo avviene quindi ex post, cioè a esecuzione forzata già iniziata. Vero che la tutela giurisdizionale tipica rimane, tuttavia da un lato la posizione del debitore si indebolisce (la norma lo “spersonalizza” totalmente, senza considerare che dietro ogni vicenda giuridica c’è anche una vicenda umana), dall’altro, in mancanza di sospensione dell’esecuzione, l’eventuale accoglimento dell’opposizione rischia di rimanere un mero trofeo da mettere in bacheca, una mera vittoria processuale[4]. L’immobile, intanto, è andato[5].

La norma fa il paio con quella in tema di prestito vitalizio ipotecario[6], che consente alla banca, in caso di inadempimento, di vendere il bene ipotecato a trattativa privata, senza che vi sia una procedura espropriativa che consenta a eventuali altri creditori di intervenire. Una posizione di privilegio per il ceto bancario, quest’ultima, probabilmente irragionevole e discriminatoria rispetto agli altri creditori, frutto di una visione banco-centrica del sistema di recupero del credito.

Insomma, anziché arrivare a una sentenza di inefficacia in tempi brevi, che richiederebbe impegno di giudici e avvocati, si confezionano norme che promuovono una sorta di “giustizia privata” delle banche[7].

Così come appare irragionevole e frutto di una forzatura l’avere introdotto la presunzione, pur se iuris tantum, per cui chi ha un debito e dispone gratuitamente lo faccia sempre in frode al creditore. E che sia questa la presunzione lo dice a chiare lettere proprio la Relazione: «Coerentemente con la presunzione di frode (corsivo mio), è prevista l’inversione dell’onere della prova». E si tratterà di prova diabolica, probabilmente, tanto è vero che, come già sopra osservato, la stessa relazione confida nel fatto che il debitore non proporrà opposizione. Il che dimostra, come è stato subito osservato, che la cognizione sulla domanda si rivela una vera e propria finzione, essendo, appunto, soltanto eventuale[8].

Quindi: si presume che esista un frode e si presume che esista una sentenza passata in giudicato che abbia dichiarato inefficace l’alienazione o la costituzione del vincolo di indisponibilità.

Sempre sul piano delle considerazioni di politica legislativa, è indubbio che la norma consente di colpire, per così dire, il ceto medio, la cui ricchezza è incorporata in immobili, lasciando fuori dal proprio ambito applicativo chi possiede immobili in via indiretta, per il tramite di società o strutture giuridiche similari.

2. Il tipo di azione previsto dalla nuova norma

L’art. 2929 bis è una norma di rottura rispetto al sistema dell’espropriazione immobiliare finora vigente. Si ammette infatti l’espropriazione di un bene che non è del debitore, non è stato concesso in garanzia dal suo titolare, di regola sarà libero da formalità pregiudizievoli. Lo si rende, probabilmente, di fatto inalienabile per un anno dall’acquisto.

Una delle prime questioni che pone la norma è se l’azione da essa prevista sia un nuovo tipo di azione o una sorta di “sottospecie” di azione revocatoria[9].

La relazione di accompagnamento al ddl di vonersione afferma che si tratta di «un’azione semplificata, introdotta dal creditore non con un atto di citazione ma direttamente con il pignoramento e quindi contestualmente all’esercizio dell’azione esecutiva», peraltro dichiarando che ciò «non è scritto expressis verbis, per non indulgere in definizioni dottrinali, ma si evince dal complessivo impianto». Il legislatore, insomma, ha assunto, nel confezionare la norma, un atteggiamento pragmatico, preoccupandosi esclusivamente di individuare il mezzo di tutela del creditore.

La scarsa attenzione per i profili sistematici secondo una delle prime letture della norma dimostrerebbe l’autonomia dell’azione ex art. 2929 bis rispetto alla revocatoria, e la dimostrazione sarebbe data dalla totale assenza di previsioni di coordinamento tra il nuovo strumento e il sistema della pubblicità immobiliare e mobiliare[10].

Gli elementi di differenziazione tra l’azione ex art. 2929 bis e l’azione revocatoria possono individuarsi nei seguenti:

(a) la norma si applica soltanto agli atti a titolo gratuito, laddove la revocatoria consente anche la revoca degli atti a titolo oneroso.

(b) la norma tutela il creditore solo di fronte ad atti successivi al sorgere del credito, mentre la revocatoria, a certe condizioni è esperibile anche contro atti compiuti anteriormente.

(c) la norma si applica solo agli atti aventi a oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri. Non convince infatti la tesi per cui l’espressione «beni mobili iscritti in pubblici registri» possa essere estesa anche agli atti aventi a oggetto beni diversi, purché suscettibili di forme di pubblicità idonee a far risultare la presenza di vincoli di indisponibilità e in particolare le quote di partecipazione in s.r.l.[11]. La norma, in considerazione del vulnus che determina sulla sicurezza della circolazione giuridica, dovrebbe essere di stretta interpretazione.

(d) occorre il titolo esecutivo, ciò che invece non è previsto per agire in revocatoria[12].

(e) l’azione va proposta entro il breve termine di un anno; entro tale termine, in particolare andrà trascritto il pignoramento, mentre la revocatoria ordinaria è soggetta a prescrizione di cinque anni.

(f) il creditore non deve ottenere alcuna sentenza di inefficacia dell’atto prima di notificare il pignoramento; la stessa norma prevede infatti che il creditore può agire «ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia».

(g) può utilizzare la norma anche il «creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri promossa[13]».

(h) infine la norma prevede l’inversione dell’onere della prova della mancanza di pregiudizio, che potrà essere fornita, in sede di opposizione all’esecuzione da parte del debitore, del terzo assoggettato all’espropriazione o di terzi interessati alla conservazione del vincolo.

3.I conflitti tra creditori e l’intervento dei “creditori anteriori”

La norma nulla prevede riguardo alla soluzione dei conflitti tra i creditori del disponente e i creditori del terzo beneficiario.

Ipotizzando una donazione immobiliare da A a B è infatti possibile che:

a) i creditori di A muniti di titolo esecutivo pignorino il bene ex art. 2929 bis;

b) i creditori di B muniti di titolo esecutivo pignorino il medesimo bene secondo le norme ordinarie.

Il pignoramento da parte dei creditori di A potrà avvenire prima o dopo il pignoramento da parte dei creditori di B e viceversa. In entrambi i casi va risolto il conflitto tra i creditori di A e B.

Se dopo la donazione da A a B il bene è pignorato dai creditori di A, sembra fondato ritenere che nell’esecuzione possano intervenire i creditori di B (i quali potrebbero persino pignorare il bene di proprietà di B, magari confidando nell’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione da parte di A). Il bene è infatti di proprietà di B in quanto l’art. 2929 bis consente l’esecuzione a prescindere dall’ottenimento di una sentenza di inefficacia della donazione. Tuttavia nel conflitto tra queste due categorie di creditori è da ritenere che quelli di A debbano prevalere rispetto ai creditori di B (intervenuti o successivamente pignoranti) in quanto l’azione ex art. 2929 bis è equiparata, quanto agli effetti, all’intervenuta revoca giudiziale. In altri termini, come giustamente osservato[14], una volta ammessa, entro il termine di un anno dalla trascrizione, l’azione esecutiva da parte dei creditori del donante, non avrebbe poi senso farli soccombere rispetto ai creditori dell’avente causa B.

Se dopo la donazione da A a B il bene è invece pignorato (prima) dai creditori di B, i creditori di A non potranno intervenire nell’esecuzione (perché non sono suoi creditori), ma solo pignorare il bene ex art. 2929 bis, purché ciò avvenga entro l’anno dalla trascrizione.

In questo caso saranno preferiti i creditori di B in quanto hanno trascritto il pignoramento prima dei creditori di A?

La questione non è di semplice soluzione, e pensiamo anche al caso in cui i creditori di B, anziché pignorare il bene abbiamo iscritto ipoteca sul medesimo.

Ora, se è pur vero è che l’art. 2929 bis ammette entro il termine di un anno dalla trascrizione l’azione esecutiva da parte dei creditori del donante, ciò non autorizza a ritenere che essa giunga a premiare l’inerzia di costoro, tanto da farli prevalere in ogni caso nei confronti dei creditori del donatario che abbiano acquistato un diritto di prelazione sul bene tramite l’iscrizione ipotecaria o abbiano pignorato il bene medesimo. Se così fosse, la norma di fatto sospenderebbe gli effetti di qualsiasi attività negoziale o esecutiva sui beni oggetto di donazione, nell’attesa della scadenza del termine di un anno dalla trascrizione, il che francamente non pare ragionevole.

Può quindi riteneresi che qualora i creditori di A non abbiano sfruttato la facoltà loro concessa dall’art. 2929 bis pignorando il bene donato a B essi debbano cedere rispetto al pignoramento trascritto o all’ipoteca iscritta dai creditori di B sul bene medesimo.

Se invece, in presenza del pignoramento trascritto da parte dei creditori di B, trascorra l’anno senza che i creditori di A abbiano pignorato il bene donato a B essi potranno sempre agire con l’azione revocatoria. In questo caso troverà applicazione l’art. 2195, comma 2, e gli effetti della sentenza non saranno opponibili ai creditori pignoranti di B (avendo essi trascritto il pignoramento prima della trascrizione della domanda giudiziale di revoca). Il decorrere del termine dell’anno infatti “riattiva”, per così dire, le ordinarie norme risolutive dei conflitti trascrittivi.

Si è già visto che l’art. 2929 bis è applicabile anche al «creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri promossa» e che per “creditore anteriore” debba ritenersi colui che sia titolare di ragioni di credito anteriori al compimento dell’atto pregiudizievole e non al creditore procedente[15]. Tali creditori, pertanto, potranno intervenire nell’esecuzione senza necessità di pignorare il bene in applicazione dell’art. 2929 bis (il pignoramento successivo in ogni caso varrebbe quale intervento).

Rispetto a questi creditori la questione che si pone è se per intervenire nell’esecuzione promossa ex art. 2929 bis debbano essere anch’essi muniti di titolo esecutivo.

Direi che si debba rispondere in senso affermativo, perché l’azione ex art. 2929 bis è equiparata quanto agli effetti, all’azione revocatoria. E così come degli effetti della sentenza di revoca beneficia solo il creditore che ha agito, lo stesso principio deve applicarsi all’azione ex art. 2929 bis. L’intervento dei soli creditori muniti di titolo esecutivo è quindi ammesso perché essi si trovano nell’identica posizione dei creditori che hanno agito ex art. 2929 bis. Così come essi potrebbero pignorare il bene allo stesso modo deve essere consentito loro l’intervento.

Ai creditori non muniti di titolo esecutivo resterà sì la possibilità di esercitare l’azione revocatoria, ma la trascrizione della relativa domanda non potrà prevalere sulla trascrizione del pignoramento, ostandovi l’art. 2915, comma 2.

4. I presupposti negoziali per l’operatività della norma: gli atti gratuiti

L’azione prevista dall’art. 2929 bis può essere attivata dal creditore a fronte di un atto di alienazione[16] gratuito compiuto dal debitore oppure a fronte di un atto costitutivo di un vincolo di indisponibilità. In entrambi i casi l’atto dovrà avere a oggetto un bene immobile oppure un bene mobile registrato.

E’ determinante individuare l’ambito applicativo della norma, per cui occorre definire con la massima accuratezza possibile il contenuto della definizione “atti gratuiti”, compito invero non facile.

La gratuità, infatti, si ha quando l’acquisto di una delle parti avviene senza corrispettivo, il che consentirebbe di attrarre nell’ambito applicativo una serie innumerevole di negozi. D’altro canto l’esistenza della corrispettività non determina di per sé una qualificazione dell’atto in termini di onerosità, essendo diversi i piani di indagine: il primo (corrispettività) riferito al rapporto che si instaura tra le prestazioni; il secondo (onerosità) riferito all’interdipendenza economica delle prestazioni nell’ottica di vantaggi e sacrifici reciproci, a prescindere dalla struttura utilizzata[17].

Certamente gli atti gratuiti comprendono quelli a effetto liberale, da valutare in considerazione del risultato giuseconomico che producono. In tale prospettiva sono liberalità tutte le attribuzioni senza corrispettivo in favore di un beneficiario che avvengano “allo scopo di soddisfare direttamente un interesse di natura non patrimoniale del disponente[18]”. E quindi certamente l’art. 2929 bis si applicherà alle donazioni. Qualunque tipo di donazione, pertanto, non sfuggirà all’applicazione della norma, salvo verificare se il donatario possa rivalersi sulle somme ricavate dall’espropriazione per gli oneri eventualmente già adempiuti[19]. Tra le donazioni potrà ricomprendersi anche il patto di famiglia, qualoraabbia ad oggetto aziende comprensive di beni immobili. Ciò in quanto, almeno secondo l’opinione prevalente, il patto di famiglia integra una liberalità. Chiaramente l’uso dell’art. 2929 bis potrà mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’azienda, che magari è stata trasmessa a un figlio perché ritenuto più capace. E, ovviamente, dei dipendenti della stessa nonchè di eventuali fornitori la cui sopravvivenza nel mercato è spesso legata a doppio filo a quella dell’azienda loro debitrice. Di tali valutazioni il legislatore non si è fatto però carico e forse avrebbe dovuto.

Esistono inoltre atti gratuiti non donativi o atipici, che sono compiuti in adempimento di obbligazioni, ovvero atti gratuiti collocabili in una sorta di zona grigia tra la liberalità e la doverosità, quali ad esempio gli atti compiuti in ambito familiare, che taluni autori definiscono atti a causa familiare, cioè quegli atti “finalizzati alla soddisfazione e composizione di interessi patrimoniali ed esistenziali derivanti dal rapporto coniugale[20]”, rispetto ai quali non è sempre configurabile un effetto liberale. Il rischio di un’estensione dell’ambito applicativo della norma, là dove essa si ritenga applicabile anche a tali atti, per il solo fatto che essi non prevedano un corrispettivo, con il conseguente contenzioso, è in effetti sussistente.

Si pensi ad es. quanto agli atti del primo tipo, a un atto di cessione gratuita di aree a un comune in esecuzione di una convenzione di lottizzazione. Può fondatamente ritenersi che la norma si applichi anche a questi atti? Riterrei che l’espressione atti gratuiti vada interpretata tenuto conto della ratio della norma, che è quella di colpire gli impoverimenti patrimoniali rispetto ai quali manca qualsiasi interesse economico del disponente, cioè quelli genuinamente liberali. Un atto di cessione gratuita di aree a un comune non pare certo dettato da un interesse non economico del disponente; esso è un atto avente natura solutoria di obblighi assunti all’interno di un procedimento amministrativo, cioè il pagamento degli oneri di urbanizzazione, tanto è vero che gode di una tassazione agevolata[21].

Nel contesto familiare la questione è ancor più complessa, anche se l’ambito oggettivo di applicazione della norma, limitata ai beni immobili e ai mobili registrati, dovrebbe rendere il compito più agevole. Possono infatti esservi, all’interno della famiglia, atti gratuiti che non sono donazioni, in quanto ad es. sopperiscono a un bisogno primario o in senso più lato al mantenimento del beneficiario dell’atto secondo le condizioni economiche della famiglia. Essi sono atti esecutivi di obbligazioni previste dalla legge, non sono spontanei, non sono gratuiti e non sono liberalità[22], se non superata una certa soglia, oltre la quale scatta la donazione. Chiaramente è l’individuazione di tale soglia che rende la vicenda complessa e dipendente dal caso concreto. Indici di riferimento potranno essere il patrimonio del disponente e il tipo di esigenza cui l’attribuzione è destinata.

In particolare, potrà farsi questione dell’esistenza o meno di una donazione è ovviamente quello delle attribuzioni in sede di definizione della crisi coniugale.

L’individuazione dell’effettiva natura di tali negozi non è mai stata del tutto chiarita; e a tutt’oggi quale sia la “causa” di tali attribuzioni è oggetto di discussione. L’individuazione della causa degli spostamenti patrimoniali realizzati in sede di accordi sulla crisi, in rapporto all’art. 2929 bis, diventa quindi determinante. La necessità dell’identificazione della natura degli accordi che i coniugi intendono stipulare, un’attenta indagine sulla loro volontà, la necessità di distinguere fra causa e motivi, costituiscono quindi logico presupposto per l’individuazione della ragione giustificativa degli spostamenti patrimoniali. Indagine complicata anche dal fatto che spesso, in sede di crisi si assiste all’intreccio «di ragioni patrimoniali, di ragioni personali, di ragioni affettive, di ragioni derivanti dai rapporti pregressi», in ultima analisi di una serie molto variegata di interessi che presiede l’attribuzione. E tali interessi si riflettono nella ricerca della causa intesa quale sintesi degli effetti essenziali diretti a realizzare gli interessi che si intendono in concreto perseguire.

Com’è noto la tesi secondo la quale i c.d. contratti della crisi coniugale sono da qualificarsi come contratti a titolo oneroso, stipulati dai coniugi per regolare i reciproci rapporti patrimoniali sorti nel corso della loro relazione e a cui intendono condizionare la definizione consensuale della crisi coniugale, sempre che non sia presente una causa tipica diversa[23] pare essere stata recepita anche dalla giurisprudenza[24]. L’onerosità di tali atti escluderà quindi l’applicazione dell’art. 2929 bis, ma pare fin d’ora prospettabile che su questo specifico tema il contenzioso non sarà irrilevante, anche in ragione del fatto che rispetto a tali atti non sempre vi sarà l’intervento dell’autorità giudiziaria che possa in qualche modo metterli al riparo da aggressioni da parte di creditori di uno dei coniugi, essendo ben possibile che tali trasferimenti siano preceduti da un accordo concluso nell’ambito della negoziazione assistita. Altra questione, sui ci soffermeremo più avanti, è se in sede di opposizione avverso un’azione ex art. 2929 bis si possa dimostrare, per impedire il proseguimento della procedura, che l’interesse che presiede alla stipula dell’atto è di rango superiore a quello del creditore.

La norma dovrebbe essere invece inapplicabile nei seguenti casi.

a) Compravendite dissimulanti una donazione

A parte la considerazione per cui costruire una fattispecie del genere è oggi, tenuto conto degli obblighi di tracciabilità dei pagamenti, estremamente difficile, riterrei che le compravendite dissimulanti una donazione stiano fuori dall’ambito applicativo della norma. In questo caso occorrerà prima agire per ottenere la simulazione e successivamente agire con l’azione esecutiva. Il creditore, peraltro, potrà trascrivere l’azione ex art. 2652, n. 4, così “bloccando” il bene[25].

b) Negozio misto a donazione

Rispetto al negoziomixtum cum donatione, più precisamente a una compravendita mista a donazione, una tesi di matrice notarile ritiene applicabile la norma, trattandosi solo di stabilire, in sede esecutiva, quale porzione del bene (rectius: quale valore del bene) possa giustificare gli esiti di una donazione sotto il profilo dell’esecutività, valutazione che potrà essere compiuta solo dal giudice delle esecuzioni[26]. Si obietta – a mio avviso giustamente – che in questo caso si tratta di negozio indiretto, si usa cioè il negozio oneroso per realizzare un intento ulteriore di liberalità[27]. E l’atto stipulato resta quindi, agli occhi del terzo, sempre oneroso. D’altronde immaginare che un creditore possa agire di fronte a tali atti con un’azione ex art. 2929 bis condurrebbe a gravissime incertezze sulla circolazione giuridica. Chi acquisterebbe potendo correre il rischio che un creditore del venditore, pignori il bene rinviando poi all’opposizione in sede esecutiva le questioni relative alla congruità del prezzo pagato?

c) Liberalità indirette

Quanto appena detto varrà a maggior ragione per le liberalità indirette, in particolare quelle che consistono nella c.d. intestazione di beni a nome altrui.

L’art. 2929 bis mira infatti a colpire gli atti che diminuiscono la garanzia generica del debitore costituita da beni immobili, ed è del tutto evidente che nel consueto caso del genitore (ipotetico debitore) che paga il prezzo dell’abitazione acquistata dal figlio il bene immobile esce dal patrimonio di un terzo e non dal patrimonio del debitore. Né pare argomento convincente quello che fa leva sulla giurisprudenza che considera oggetto della liberalità indiretta, in questi casi, l’immobile e non già il denaro impiegato per l’acquisto[28]. Intanto perché il principio giurisprudenziale è stato affermato in un caso avente a oggetto l’individuazione dell’oggetto della collazione e non della riduzione. In secondo luogo perché la stessa giurisprudenza, più recentemente, ha affermato che nell’ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’acquisto del bene con denaro proprio del disponente e intestazione ad altro soggetto alla riduzione di siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura, per cui la lesione del legittimario va ristorata con le modalità tipiche del diritto di credito[29]. Infine perché, ancor più di recente, la giurisprudenza è giunta persino ad affermare che la donazione indiretta dell’immobile non è configurabile quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo del bene, giacché la corresponsione del denaro costituisce una diversa modalità per attuare l’identico risultato giuridico-economico dell’attribuzione liberale dell’immobile esclusivamente nell’ipotesi in cui ne sostenga l’intero costo[30].

d) Adempimento di obbligazioni naturali (con cenni alla modifica dell’art. 64 l. fall.)

Gli atti di adempimento di obbligazioni naturali dovrebbero anch’essi essere fuori dall’ambito applicativo dell’art. 2929 bis. La disciplina di tali atti rispetto alla tutela dei creditori va messa a confronto anche con l’art. 64 l. fall., norma su cui è intervenuto il d.l. n. 83 del 2015 aggiungendo un secondo comma. Il comma 1 dell’art. 64 l. fall. prevede che «Sono privi di effetto rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, gli atti a titolo gratuito, esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante». Il comma 2, aggiunto dal d.l., prevede invece che «I beni oggetto degli atti di cui al primo comma sono acquisiti al patrimonio del fallimento mediante trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento. Nel caso di cui al presente articolo ogni interessato può proporre reclamo avverso la trascrizione a norma dell’articolo 36.»

La norma è stata interpretata dalla dottrina anzitutto nel senso che essa ricomprende anche gli atti di adempimento di obbligazioni naturali[31] e, per ciò che rileva in questa sede, che la particolare connotazione di tali atti li esenta non solo dalla revocatoria fallimentare ma anche da quella ordinaria[32]. La tutela dei creditori, che nell’art. 64, comma 1, l. fall. passa attraverso la prova della non proporzionalità dell’attribuzione rispetto al patrimonio del disponente, dovrebbe consentire di agire ex art. 2929 bis per quella parte dell’attribuzione eventualmente eccedente il limite della proporzionalità[33]. Anche in questo caso, però, la questione della verifica della non proporzionalità, così come accadrebbe, mutatis mutandis, nel caso della compravendita mista a donazione, verrebbe rinviata all’opposizione in sede esecutiva. Si attribuirebbe al creditore un rimedio che, data la sua eccezionalità, rispetto a tali atti, formalmente non liberali (e sarà molto opportuna, anzi riterrei persino necessaria una chiara expressio causae), appare sproporzionato.

L’occasione dell’analisi del rapporto tra atti di adempimento di obbligazioni naturali e art. 2929 bis consente di spendere qualche riflessione sull’innovazione apportata all’art. 64 l. fall.

E’ anzitutto un regime opzionale attivabile dal curatore a sua discrezione[34] ? La norma in verità prevede che i beni “sono acquisiti” al patrimonio fallimentare per effetto della trascrizione della sentenza di fallimento e non che “possono essere acquisiti”. Potrebbe pertanto, al contrario, ipotizzarsi che intanto il curatore debba trascrivere la sentenza dichiarativa di fallimento e che della proporzionalità se ne discuta – se del caso – in sede di reclamo ex art. 36 l. fall. (che tra l’altro prevede un termine brevissimo, di soli 8 giorni), con tutte le garanzie del contraddittorio e della decisione resa da un giudice terzo? In tale prospettiva il reclamo sembrerebbe una strada obbligata, in effetti, imponendo però al curatore l’obbligo di comunicare l’avvenuta trascrizione della sentenza, visto che il termine per il reclamo decorre dalla conoscenza dell’atto. Inoltre la norma consente il reclamo a “ogni interessato”, non solo al beneficiario del trasferimento, per cui si porrà il problema della decorrenza del termine in capo a soggetti diversi dal beneficiario del trasferimento. Va di contro osservato che, prima della recente modifica, la proposizione di un’azione ex art. 64 l. fall. non era certo obbligatoria per il curatore.

Altra questione riguarda l’effetto della norma. Si è affermato che l’effetto sia traslativo, e che si produca una retrovicenda acquisitiva del bene dall’acquirente al fallito (al di là di improbabili soggettivizzazioni, l’espressione “patrimonio del fallimento”, usata nella norma, va chiaramente intesa come “patrimonio del fallito”).

Ora, è vero che la norma usa il termine “acquisiti”, tuttavia va considerato che il nuovo comma si aggiunge a una norma che disciplina l’inefficacia di determinati atti e coerenza interpretativa sembrerebbe imporre che l’effetto prodotto sia identico. L’effetto della trascrizione, pertanto, dovrebbe essere quello di consentire di imporre sul bene una sorta di vincolo di destinazione al soddisfacimento delle ragioni della massa dei creditori, secondo le regole del concorso.

D’altro canto, se si trattasse di ritrasferimento occorrerebbe anche chiedersi se tale trascrizione integri un presupposto imponibile, con tutte le conseguenze del caso in punto di modalità applicative dell’imposta, trattandosi di effetto traslativo che discende dall’esecuzione di una formalità pubblicitaria (ma l’effetto in realtà discende dalla sentenza, che costituisce il titolo per la trascrizione, per cui dovrebbe essere questa a essere registrata con il pagamento delle relative imposte). Non solo. Tenuto conto della possibilità per il beneficiario del trasferimento di proporre reclamo (ciò che implica l’onere a carico del curatore di comunicargli l’avvenuta esecuzione della formalità) ne dovrebbe ulteriormente conseguire che l’esito positivo del reclamo medesimo produca un’altra volta il trasferimento del bene dal fallito al beneficiario, con nuovo pagamento di imposte. Più coerente, mi pare, è ritenere che quanto previsto dall’art. 64, comma 2, l. fall., null’altro sia che l’applicazione in sede fallimentare del sistema disegnato dall’art. 2929 bis.

e) Rinunzia

La rinunzia abdicativa (ad es. a una quota di comproprietà, operazione negoziale ormai pacificamente ammessa) non dovrebbe essere ricompresa nell’ambito applicativo della norma, in quanto essa non dà luogo a un trasferimento. L’incremento in capo agli altri comproprietari non è infatti un effetto diretto della rinunzia ma solo riflesso. La conclusione sembra semplice, tuttavia qualche dubbio è giusto porselo, anzitutto perché se pure la norma usa il termine “trasferimento” la sua ratio dovrebbe consentire di ricomprendervi tutti gli atti che determinano una “diminuzione patrimoniale” e quindi anche le rinunzie. In secondo luogo perché la qualificazione di gratuità dipende anche dall’interesse che ha mosso il rinunziante alla stipula dell’atto: era un interesse patrimoniale, nel qual caso forse la rinunzia non è qualificabile come atto gratuito ai fini dell’art. 2929 bis? Oppure un interesse non patrimoniale, ad es. quello di beneficiare gli altri comproprietari, nel qual caso potrà affermarsi la gratuità della rinunzia medesima?

f) Divisione e transazione. Ipoteca.

Pare da escludere che divisione e transazione possano essere oggetto dell’azione ex art. 2929 bis in quanto atti onerosi[35]. Vero che non può escludersi che attraverso la stipula di tali atti vengano realizzate delle liberalità indirette. Tuttavia si è già osservato come le liberalità indirette siano anch’esse escluse dall’ambito applicativo della norma.

Discorso diverso potrebbe farsi per l’ipoteca, che com’è noto è un atto astrattamente suscettibile di revocatoria (sia fallimentare che ordinaria).

In uno dei primi commenti alla nuova norma si è affermato che se pure l’ipoteca non possa considerarsi compresa tra le alienazioni nondimeno essa determina l’apposizione di un vincolo sul bene, che viene destinato a garanzia di una specifica posizione debitoria, a detrimento di eventuali altri creditori chirografari che abbiano pignorato il bene[36].

Si pone quindi un problema di conflitto tra il creditore pignorante e il creditore che ha iscritto ipoteca nell’anno precedente.

Questo conflitto, secondo tale autore, si dovrebbe risolvere ritenendo che l’ipoteca non contestuale al sorgere del credito sia “gratuita” e pertanto ricompresa tra i “vincoli di indisponibilità” inopponibili al creditore che pignora il bene entro un anno dall’iscrizione. Il carattere gratuito dell’ipoteca concessa non contestualmente al sorgere del credito (si fa il caso dell’ipoteca concessa a fronte di un finanziamento contratto per estinguere un debito preesistente) si ricava dalla giurisprudenza in tema di revocatoria ordinaria e fallimentare. Il che però suscita talune perplessità, atteso che lo stesso autore ritiene che l’azione ex art. 2929 bis sia un’azione del tutto diversa dall’azione revocatoria, ciò che dovrebbe condurre a non poter utilizzare in via automatica, rispetto agli atti considerati dall’art. 2929 bis, i principi giurisprudenziali affermati rispetto al diverso istituto dell’azione revocatoria ordinaria. Può inoltre osservarsi che la gratuità dell’ipoteca concessa non contestualmente al sorgere del credito può essere solo inferita in via presuntiva, ben potendo essa essere stata concessa a titolo oneroso. E che di tutto ciò sarà inevitabile discuterne in sede giudiziale, con conseguente inasprimento del contenzioso.

A me pare, in verità, che considerare l’ipoteca alla stessa stregua di un atto comportante un vincolo di indisponibilità del bene, consenta quindi ad altri creditori di attivare l’azione ex art 2929 bis, sia una forzatura e possa produrre a danno dei debitori conseguenze gravi e dannose. Si pensi al tipico caso di colui che ha un debito bancario nascente da un’apertura di credito in conto corrente chirografarioe intende ripianarla stipulando un mutuo fondiario. Nessuna banca stipulerebbe più mutui fondiari ovvero, ammesso che li stipuli, dovrebbe attendere il termine di un anno prima di erogare la somma. L’ipoteca si consoliderebbe infatti decorso l’anno dall’iscrizione in assenza di creditori che abbiano pignorato il bene ex art. 2929 bis e la norma, tra l’altro, derogherebbeanche all’art. 39, comma 4, del Testo Unico Bancario, che per isoggetti suscettibili di fallimento esclude da revocatoria fallimentare le ipoteche quando siano state iscritte dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento.

La tesi che considera l’ipoteca un vincolo di indisponibilità gravante sul bene, in altri termini, non mi sembra adeguatamente motivata e rischia di dilatare a dismisura l’ambito applicativo della norma. Si pensi a un atto gratuito costitutivo di servitù a carico di un bene immobile: non crea anche tale atto un vincolo sul bene? Ed è immaginabile che di fronte a un tale tipo di atto un qualsiasi creditore del titolare del fondo dominante possa pignorare il bene? L’individuazione degli atti ricompresi nel perimetro applicativo della norma andrebbe invece fatta guardando agli interessi che essa mira a tutelare. La funzione della norma è impedire tutti quegli atti che determinino una diminuzione della garanzia generica a favore dei creditori, o attraverso una trasferimento del bene, che appunto non viene più a far parte del patrimonio o attraverso l’imposizione di un vincolo di indisponibilità, che andrebbe inteso come atto il cui effetto è quello di sottrarre ai creditori, appunto, la disponibilià di un bene per la soddisfazione forzata del proprio credito e ciò non può avvenire che attraverso atti che determinino la separazione di un bene rispetto al residuo patrimonio del disponente. In tal senso, allora, l’atto costitutivo di ipoteca, in quanto non determina alcuna separazione patrimoniale non pare apprezzabile come vincolo di indisponibilità. Chi si riterrà danneggiato da un’ipoteca concessa a titolo gratuito avrà in ogni caso a disposizione il rimedio della revocatoria ordinaria.

5. Gli atti costitutivi di vincoli di indisponibilità

Si è già accennato alla fine del precedente paragrafo cosa a nostro avviso va inteso come atto costitutivo di “vincolo di indisponibilità”: atto il cui effetto è quello di sottrarre ai creditori la disponibilità di un bene, che viene separato rispetto al residuo patrimonio del disponente[37]. Una conferma in tal senso viene anche dalla relazione accompagnatoria al ddl di conversione del d.l., che indica quali esempi di atti costitutivi di vincoli di indisponibilità il fondo patrimoniale e il trust autodichiarato[38].

In altri termini, mutuando un’affermazione dottrinale di oltre quarant’anni fa, per “indisponibilità” si deve intendere quella situazione in cui accanto alla relazione dell’autore dell’atto con il bene si pone una seconda relazione che si manifesta solitamente nelle forme del diritto di credito[39]. Il rapporto che fa capo al titolare del diritto di proprietà è subordinato al rapporto obbligatorio. E’ ciò che accade nel fondo patrimoniale in cui a seguito della stipula dell’atto vi è l’obbligo a carico del costituente di destinare il bene ai bisogni della famiglia, tanto è vero che in caso di violazione si ritiene attivabile il rimedio del risarcimento del danno; ed è ciò che accade nel caso del trust autodichiarato e nell’atto di destinazione ex art. 2645 ter, in cui a carico del disponente, che assume la qualifica di trustee o gestore, sorge l’obbligato di destinare i beni alla realizzazione degli interessi dei beneficiari, titolari appunto di una posizione qualificabile come creditoria.

Anche per gli atti costitutivi di vincolo di indisponibilità il presupposto applicativo è che essi siano compiuti a titolo gratuito, come si ricava abbastanza chiaramente dalla lettera della norma. Esamineremo qui di seguito alcuni degli innumervoli e complessi problemi applicativi che nascono a seguito della stipula dei più comuni atti costitutivi di vincolo di indisponibilità che producono l’effetto di sottrarre alla garanzia del creditore beni immobili: il fondo patrimoniale con riserva di proprietà in capo al costituente, il vincolo di destinazione ex art. 2645 ter e il trust.

a) Fondo patrimoniale con riserva di proprietà in capo al costituente

Che il fondo patrimoniale sia atto aggredibile con la nuova azione sembra del tutto pacifico e scontato. Peraltro, l’attuale estensione giudiziale del concetto di “bisogni della famiglia” ha reso quasi inservibile l’istituto, di fatto cancellandolo dal codice civile. L’introduzione dell’art. 2929 bis, che consente la pignorabilità diretta del bene, sembra quasi, di fronte all’attuale giurisprudenza, nulla aggiungere di più. Né il tentativo di ascrivere l’atto costitutivo del fondo patrimoniale agli atti onerosi ha avuto successo: la giurisprudenza è costante nel ritenerlo atto gratuito[40].

Quanto al mancato coordinamento con le norme in tema di pubblicità dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale va ricordato che secondo le Sezioni Unite della Corte di cassazione l’opponibilità del vincolo nascente dal fondo dipende dall’annotazione a margine dell’atto di matrimonio[41], mentre la trascrizione ex art. 2647 degraderebbe a pubblicità-notizia, tanto che potrebbe essere persino omessa (non trovando applicazione l’art. 2671).

Occorre allora chiedersi se la mancanza di trascrizione non consenta al creditore di agire ex art. 2929 bis, mancando la formalità dalla quale far decorrere il termine a quo di decorrenza dell’anno.

Si può ragionare in due modi: si potrebbe ritenere, ad esempio, che l’art. 2929 bis sia norma innovativa rispetto all’art. 162 e che quindi imponga la trascrizione dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale avente a oggetto immobili a fini di opponibilità. Si potrebbe obiettare che l’art. 2929 bis non è norma speciale rispetto all’art. 162, che rimarrebbe applicabile, tuttavia non va dimenticato che la necessità oltre che la sufficienza dell’annotazione ai fini dell’opponibilità del fondo ai terzi è tesi giurisprudenziale, per cui si dovrebbe discutere di un rapporto di specialità non tra norme bensì tra una “disposizione” codicistica e una “norma” di fonte giurisprudenziale, difficilmente prospettabile.

Si potrebbe invece ragionare, forse in modo più fondato, come segue: poiché la norma intende colpire il debitore che “sottrae” beni al creditore mediante un atto a lui opponibile, l’espressione “data in cui l’atto è stato trascritto” andrebbe intesa – per gli atti aventi a oggetto immobili che prevedono per l’opponibilità un mezzo diverso dalla trascrizione “data in cui l’atto è stato reso opponibile”.

D’altro canto, anche nel caso dell’art. 2915 ciò che rileva è che il pignoramento preceda l’annotazione a margine e non la trascrizione del fondo patrimoniale, per cui il creditore prevale anche se trascrive il pignoramento dopo la trascrizione dell’atto costitutivo di fondo patrimoniale ma prima dell’annotazione a margine dell’atto di matrimonio.

La questione è dimostrativa di uno dei mille problemi che solleverà la norma, che certamente verrà sfruttata per ri-affermare che rispetto al fondo patrimoniale avente a oggetto immobili l’opponibilità dipende dalla trascrizione e non dall’annotazione[42].

Sempre riguardo al fondo patrimoniale occorre chiedersi se possa ricadere sotto le forche caudine della norma la donazione di un bene già costituito in fondo patrimoniale, che si ritiene ammissibile purché avvenga a favore di uno dei membri della famiglia e il vincolo nascente dal fondo patrimoniale venga mantenuto[43].

Rispetto a tale situazione potremmo avere creditori anteriori rispetto all’annotazione dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale e creditori posteriori ma anteriori alla donazione del bene oggetto del fondo patrimoniale medesimo.

Se si ritiene non applicabile la norma il creditore, per poter aggredire il bene con l’azione esecutiva dovrebbe (fatta salva la prescrizione) ottenere la revocatoria sia del fondo patrimoniale sia della donazione. Conseguentemente se il fondo patrimoniale è stato costituito (meglio: annotato) da oltre 5 anni nessuna azione revocatoria potrà essere promossa contro l’atto costitutivo del fondo patrimoniale. Potrebbe invece essere promossa contro la donazione perché se é vero che il bene rimane gravato dal vincolo nascente dal fondo patrimoniale è anche vero che il vincolo medesimo può cessare, per cui in assenza di revocatoria il creditore rimarrebbe senza tutela alcuna, essendo il bene uscito dal patrimonio del costituente.

b) Vincoli di destinazione ex art. 2645 ter e trust (autodichiarati e non)

Riguardo a vincoli di destinazione e trust si impongono anzitutto due rilievi di natura sistematica.

Il primo concerne l’ammissibilità di vincoli di destinazione e trust autodichiarati. La norma mi pare faccia tabula rasa delle opinioni, anche giurisprudenziali, che vorrebbero vietati, appunto, l’atto di destinazione ex art. 2645 ter non traslativo[44] e il trust autodichiarato[45] (quest’ultimo espressamente richiamato nella relazione di accompagnamento al ddl di conversione)

Il secondo rilievo, anch’esso importante, consiste nella conferma normativa dell’opponibilità di tali vincoli ai creditori. Ciò vale soprattutto con riferimento al negozio di destinazione c.d. puro, che non si accompagni alla stipula di un atto di altra natura, negato da certa giurisprudenza[46]. Decorso il termine di un anno il vincolo non traslativo prevarrà sulla posizione del creditore anteriore, che dovrà quindi agire con l’azione revocatoria per ottenere l’inefficacia del vincolo o dell’alienazione[47].

Per quanto riguarda il rapporto tra tali atti e l’art. 2929 bis va preliminarmente osservato che il panorama giurisprudenziale italiano degli ultimi tempi è abbastanza univoco: in materia di trust, in particolare, si assiste a un continuo proliferare di sentenze che ne dichiarano l’inefficacia in quanto stipulato a danno dei creditori[48]. Ciò in quanto, evidentemente, esso viene – a torto – inteso e proposto come strumento che assicura in maniera certa la protezione patrimoniale. Tra l’altro in molti casi, con ogni probabilità, la semplice lettura dell’atto istitutivo avrebbe mostrato con chiarezza come la ragione giustificativa dell’atto fosse esclusivamente quella di ottenere la separazione patrimoniale ovvero che la fattispecie non si era neppure perfezionata. Si pensi, con riguardo a quest’ultima ipotesi, agli innumerevoli trusts istituiti con riserva di indicare successivamente i beneficiari: si tratta, all’evidenza, di trust radicalmente nulli o, a tutto concedere, in fase di formazione, rispetto ai quali non si produce alcun effetto di separazione patrimoniale fino all’avvenuta nomina dei beneficiari[49]. Con riguardo all’atto di destinazione, invece, la giurisprudenza recente tende a incentrare la propria valutazione sull’assenza di meritevolezza degli interessi, con a mio avviso indebite intrusioni su aspetti relativi alla motivazione dell’atto, che non dovrebbero invece essere concepibili[50].

A prescindere da ciò, va comunque rilevato che buona parte dei trusts strutturati come trusts per beneficiari diversi dal disponente, è apprezzabile, come può facilmente essere verificato dall’analisi della prassi, come liberalità non donativa e pertanto certamente ricompresa tra gli atti considerati dall’art. 2929 bis.

Non è però da escludere che sia atti di destinazione che trusts possano essere qualificati come onerosi, e quindi sfuggire all’ambito applicativo dell’art. 2929 bis[51].

Si è sostenuto, ad esempio, che tali atti possano essere utilizzati al fine di adempiere obbligazioni naturali, come accade nel settore della famiglia di fatto, richiamandosi a tal proposito l’art. 64 l. fall., più sopra esaminato. La questione è complessa, perché pone un problema di bilanciamento tra contrapposti interessi, quelli dei creditori e quelli familiari in senso ampio, ricomprendendosi in tale ambito, pertanto, anche le formazioni sociali diverse da quella matrimoniale, che ormai pacificamente godono di tutela costituzionale.

Con riguardo al trust vengono inoltre in considerazione i trust c.d. solutori di obbligazioni aventi fonte convenzionale o legale (si pensi, tra questi, ai trusts istituiti nel contesto della crisi coniugale) ovvero i trusts di garanzia e c.d. liquidatori.

Nel caso del trust, la complessità della vicenda, che richiede sempre un momento organizzativo e un momento dispositivo, che formalmente costituirà l’oggetto dell’azione ex art. 2929 bis, impone necessariamente una considerazione unitaria delle due diverse fattispecie sotto il profilo del collegamento che sussiste tra le stesse, e rende necessaria anche un’indagine relativa all’identificazione di colui che riceve i benefici del trust attraverso il veicolo del patrimonio separato e subisce nel suo patrimonio gli effetti negativi del pignoramento, che ovviamente avverrà nei confronti del trustee. Occorrerà quindi fare riferimento al beneficiario per valutare la gratuità o l’onerosità del trust, per cui ai fini dell’art. 2929 bis i singoli casi dovranno essere apprezzati nella loro varietà strutturale e nei loro effetti. Sarà quindi necessario, per qualificare la fattispecie in termini di gratuità o onerosità, considerare l’intero assetto di interessi, quale risulta dal collegamento tra il momento di organizzazione del singolo trust e il momento dispositivo e dal coinvolgimento sia del disponente sia del trustee sia del beneficiario o dei beneficiari. E’ evidente quindi, che ai fini di una corretta qualificazione dell’atto in termini di gratuità oppure onerosità, bisognerà sempre fare riferimento ai rapporti sottostanti tra disponente e beneficiari del trust, al di là di quella che potrebbe apparire la sola realtà formale dei rapporti tra disponente e trustee, che svolge l’ufficio di realizzare le finalità del trust attraverso la corretta gestione dello stesso alla quale è preposto. Opinando diversamente si correrebbe il rischio di considerare compresi nel’ambito dell’art. 2929 bis tutti i trust, atteso che l’atto di affidamento dei beni al trustee potrebbe sempre qualificarsi come gratuito. In realtà se è pur vero che rispetto all’affidamento dei beni al trustee costui non presta alcun corrispettivo non è meno vero che la causa del trasferimento va rinvenuta nell’atto istitutivo e che quindi il trasferimento dei beni al trustee è neutro al fine di stabilire la gratuità o onerosità del trust.

Da ciò consegue che l’atto pregiudizievole rispetto al quale il creditore potrà agire ex art. 2929 bis sarà l’atto di trasferimento o il mero atto di apposizione del vincolo nel caso di trust autodichiarato ma che non si potrà prescindere dall’atto istitutivo per qualificare concretamente l’atto traslativo medesimo in termini di gratuità o onerosità.

6. Il problema dell’avente causa dal beneficiario

E’ questione che affaticherà non poco gli interpreti quella relativa al trattamento dai riservare al caso in cui, stipulata la donazione da A a B, quest’ultimo venda il medesimo bene al terzo di buona fede C e non sia ancora trascorso l’anno dalla trascrizione della donazione da A a B: può il creditore di A pignorare il bene venduto a C, in applicazione dell’art. 2929 bis?

Alcuni commentatori hanno ritenuto che l’avente causa a titolo oneroso che sia in buona fede debba essere protetto e che effettivamente lo sia[52].

La protezione del terzo di buona fede acquirente a titolo oneroso discenderebbe:

- dal fatto che la normasi riferisce a un’azione esecutiva contro il “terzo proprietario”, collegata al fatto che il pregiudizio deriva da un atto di alienazione a titolo gratuito, per cui la presenza, nella catena dei trasferimenti, di un atto a titolo oneroso, disattiverebbe il rimedio offerto dalla norma;

- dal principio ricavabile dall’art. 2901, u.c., che in materia di revocatoria ordinaria tutela sempre il terzo di buona fede sub-acquirente a titolo oneroso, che sarebbe principio di carattere generale;

- dalla necessaria parità di trattamento che il legislatore dovrebbe rispettare tra terzi sub-acquirenti, indipendentemente dal fatto che il creditore agisca con la revocatoria ordinaria con l’azione ex art. 2929 bis.

In altri termini il caso viene risolto a favore del terzo acquirente di buon fede a titolo oneroso facendo applicazione dell’art. 2652, n. 5, norma che disciplina gli effetti della trascrizione della domanda giudiziale con cui si chiede la revoca di atti soggetti a trascrizione. Questa norma si ritiene applicabile anche all’azione ex art. 2929 bis, pur non essendo da essa fatta salva.

Questa tesi si fonda su ciò: che il titolo del dante causa (il donatario) è inefficace ex lege. Come può giustificarsi allora la protezione di un terzo acquirente di buona fede a titolo oneroso a fronte di un titolo del dante causa ritenuto inefficace? La tesi dell’inefficacia ex lege, inoltre, oltre a essere smentita dalla lettera della norma, che consente al creditore l’esecuzione “ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia”, dipenderebbe dall’esistenza di un creditore del dante causa anteriore alla trascrizione dell’atto, circostanza che al momento della stipula potrebbe essere del tutto ignota. Con ciò non si vuole dire che il terzo avente causa sia privo di protezione ma che le ragioni di essa debbano essere individuate su altre basi e non argomentando dal fatto che il titolo del dante causa è inefficace.

La mancanza del richiamo all’art. 2652 n. 5 o, comunque, di una norma che disciplini il conflitto tra creditore pignorante e terzi aventi causa, potrebbe invece rendere persino privo di protezione il terzo. “Terzo proprietario”, quindi, potrebbe essere non solo il beneficiario “diretto” dell’atto gratuito bensì anche chiunque altro abbia da lui acquistato, che entro l’anno potrebbe subire anch’egli il pignoramento. D’altronde, se il conflitto dovesse essere risolto sulla base del principio di priorità delle trascrizioni, per cui il terzo sub-acquirente è protetto purché trascriva l’acquisto prima della trascrizione del pignoramento, non si vede perché tale conclusione debba valere solo per gli atti onerosi. La norma, nel conflitto tra creditore del donante e terzo acquirente dal donatario, sembrerebbe in sostanza privilegiare sempre il primo. Quindi fatta la donazione sembrerebbe del tutto inutile alienare a titolo oneroso a un terzo per impedire l’azione del creditore. L’effetto introdotto dall’art. 2929 bis riguardo ai terzi aventi causa dal donatario verrebbe quindi a somigliare moltissimo a quello previsto dall’art. 563, che consente al legittimario leso da una donazione di esercitare l’azione di restituzione nei confronti degli aventi causa dal donatario[53].

D’altro canto la norma prevede che il creditore deve trascrivere il pignoramento entro un anno dalla data un cui l’atto è stato trascritto, senza nulla dire in merito alla salvezza degli atti trascritti o iscritti nel frattempo, il che sembrerebbe determinare un’espressa deroga ai principi in materia di trascrizione[54].

Ci si potrebbe chiedere, allora, se il donatario possa essere qualificato come una sorta di titolare nell’interesse altrui. Per giungere a questo risultato si dovrebbe tuttavia ritenere che la proprietà del donatario è ex lege (cioè ex art. 2929 bis) separata dal resto del suo patrimonio in quanto funzionalizzata a garantire i creditori anteriori del donante fino alla scadenza dell’anno successivo alla trascrizione dell’atto, per cui fino alla scadenza dell’anno dalla trascrizione il bene circolerebbe vincolato agli interessi dei creditori anteriori del donante. I creditori del donatario quindi non potrebbero aggredirla se non dopo trascorso tale termine, ciò che invece la norma non prevede. Al contrario la norma sembrerebbe consentire, come appena osservato, che il bene sia aggredibile dal creditore del donante – sempre entro il termine di un anno – anche se il donatario lo ha alienato a un terzo e che persino i creditori del terzo – a questo punto – possano partecipare all’espropriazione.

Ragionare in questi termini, ritenendo quindi privo di protezione il terzo avente causa dal donatario (o dal trustee o dal gestore nel caso di atto di destinazione ex art. 2645 ter traslativo) significa però leggere l’art. 2929 bis in modo strettamente letterale, esaltandone a dismisura le ragioni di politica legislativa che ne stanno alla base. E ciò avrebbe effetti dirompenti rispetto al sistema, che è invece orientato all’individuazione di un equilibrio tra le ragioni del credito e le ragioni della proprietà, come dimostrato dalle varie norme del codice che tutelano l’avente causa a titolo oneroso che sia in buona fede, cioè il suo affidamento[55].

Lo ribadiamo. Il creditore non può essere un soggetto iper-privilegiato rispetto agli altri consociati, tanto da dover vedere premiata la propria inerzia (almeno fino al termine dell’anno dalla trascrizione) anche nel caso in cui non adoperi lo strumento offertogli dall’art. 2929 bis a tutela del proprio credito in presenza di un atto dispositivo a titolo gratuito. Si può ammettere che in presenza di un ulteriore atto dispositivo a titolo gratuito il terzo avente causa, che non ha sopportato alcun sacrificio, debba cedere rispetto al creditore, ma appare sproporzionato e irragionevole, oltre che lesivo del diritto di proprietà, ammettere che debba cedere rispetto al creditore anche il terzo avente causa a titolo oneroso che sia in buona fede. La giustificazione normativa della prevalenza del terzo avente causa a titolo oneroso che abbia acquistato in buona fede va rinvenuta, peranto, nel sistema (l’argomentazione fondata sulla ritenuta inefficacia dell’atto del dante causa si rivela, quindi, fallace), tutto orientato alla tutela della buona fede del terzo avente causa a titolo oneroso[56]. L’art. 2929 bis va quindi interpretato sistematicamente. Se è pur vero che esso nulla dice in tema di risoluzione dei conflitti, non è meno vero che così rilevanti eccezioni sarebbero dovute essere espressamente previste (salvo vagliarne la “tenuta” alla luce dei principi costituzionali).

7. La difesa avverso il pignoramento ex art. 2929 bis

L’art. 2929 bis prevede che

Il debitore, il terzo assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla conservazione del vincolo possono proporre le opposizioni all’esecuzione di cui al titolo V del libro III del codice di procedura civile quando contestano la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma, nonché la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore.

Si osserva subito che la norma non limita il potere di opposizione al solo debitore ma lo estende, per ovvie ragioni, anche al terzo assoggettato a espropriazione e a ogni altro interessato. Una pluralità di soggetti potrà quindi promuovere il giudizio di opposizione, compresi quindi, come potrà accadere nel caso in cui l’atto compiuto sia un trust o un atto di destinazione ex art. 2645 ter il trustee, l’eventuale gestore (qualora la destinazione sia traslativa) e i beneficiari.

Quanto alla insussistenza dei presupposti, si potrà anzitutto opporre la mancanza del titolo esecutivo in capo al creditore ovvero il fatto che l’atto compiuto non rientra tra quelli previsti dalla norma.

Per quanto riguarda la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore, nella relazione di accompagnamento al ddl si legge che la “mancanza del pregiudizio” consiste, per il debitore, nel provare che il suo residuo patrimonio è sufficientemente capiente e che sarebbero applicabili le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza in tema di azione revocatoria.

In particolare la giurisprudenza in tema di revocatoria ritiene anzitutto non necessaria “la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore”, reputandosi sufficiente “soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito”[57]. In secondo luogo la verifica della sussistenza del pregiudizio va fatta al momento in cui viene compiuto l’atto di disposizione e in cui può apprezzarsi se il patrimonio residuo del debitore sia tale da soddisfare le ragioni del creditore, restando, invece, assolutamente irrilevanti, al fine anzidetto, le successive vicende patrimoniali del debitore, non collegate direttamente all’atto di disposizione”[58].

Per quanto riguarda la consapevolezza, la giurisprudenza in tema di revocatoria, con riguardo agli atti compiuti successivamente al sorgere del credito, afferma la sufficienza del c.d. dolo generico di danneggiare il creditore[59]. La giurisprudenza è inoltre costante nel ritenere che la prova della conoscenza del pregiudizio possa essere fornita anche per presunzioni[60].

Alcune osservazioni.

Intanto va ricordato che l’azione ex art. 2929 bis non pare essere una revocatoria in senso proprio, ma un’azione nuova, per cui la trasposizione sic et simpliciter dei principi giurisprudenziali elaborati con riguardo alla revocatoria ordinaria andrà probabilmente verificata. D’altro canto, tutta la giurisprudenza in tema di revocatoria riguarda situazioni in cui l’onere della prova spettava al creditore, mentre qui si ha un rovesciamento di posizioni, essendo l’onere della prova ribaltato sul debitore, che deve peraltro fornire la prova di fatti negativi. Potrebbe emergere la necessità del riscontro in capo al debitore di profili soggettivi prima ritenuti irrilevanti, potrebbe emergere la necessità di un’indagine più accurata, che ponga sul piatto della bilancia i diversi interessi coinvolti e consideri se debbano necessariamente prevalere quelli dei creditori.

Rispetto a questa norma, si osserva ancora, ci si dovrebbe porre un problema di bilanciamento di interessi (concetto ben diverso da “contemperamento” di interessi). Il legislatore ha espressamente preso posizione a favore degli interessi dei creditori rispetto a qualunque altro interesse meritevole di tutela. Esistono però interessi che, rispetto a quelli dei creditori, hanno copertura “costituzionale” (es. interessi della famiglia in senso lato, interessi che potremmo definire “della solidarietà”, interesse al mantenimento della proprietà dell’abitazione, quantomeno di quella principale e simili). L’art. 2740 non è più (e forse non lo è mai stata) norma di ordine pubblico, sebbene nella relazione al codice si trovi scritto che la responsabilità patrimoniale generale del debitore era stata prevista nell’interesse del credito e dell’economia.

Pensiamo alle situazioni di handicap, ai principi di solidarietà e al principio di sussidiarietà. A fronte della presunzione del legislatore per cui tutti i debitori sono sempre e comunque frodatori dei creditori, stanno situazioni in cui l’alienazione gratuita o l’apposizione del vincolo, dal punto di vista funzionale, sono mezzi di “accompagnamento”, per così dire, di una delle misure di protezione previste dall’ordinamento.

La donazione di un’abitazione a un disabile, un atto di destinazione a vantaggio di un disabile, testualmente prevista dall’art. 2645 ter, un trust a vantaggio di un disabile: tutte operazioni che servono a far fronte ai bisogni del beneficiario, i cui costi di tutela non vengono posti a carico della collettività ma restano in capo al privato.

Eppure tali atti, se posti in essere dopo il sorgere del credito, possono cadere sotto la mannaia dell’art. 2929 bis.

D’altro canto non pare che la norma possa consenta di impedire il prosieguo dell’espropriazione dimostrando che uno specifico interesse alla cui realizzazione è diretto l’atto è prevalente rispetto all’interesse del creditore. Essa infatti, almeno sul piano letterale, consente esclusivamente di eccepire la mancanza dei presupposti di cui al primo comma ovvero di provare che il debitore non conosceva il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore (pregiudizio che sarà, perlopiù, in re ipsa).

Impedire di fare valere la preminenza dell’interesse di tali soggetti nonché dell’interesse familiare rispetto all’interesse dei creditori sembra effettivamente una grave limitazione del diritto di difesa, in violazione dell’art. 24 Cost.

Un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma dovrebbe consentire pertanto all’opponente di prospettare motivi di opposizione ulteriori rispetto a quelli indicati dalla norma[61].

8. Il ruolo del notaio

La posizione del notaio può essere esaminata da due punti di vista: in quanto venga richiesto di stipulare un atto di alienazione a titolo gratuito o costitutivo di un vincolo di indisponibilità; oppure in quanto venga richiesto di stipulare, entro l’anno dalla trascrizione del primo atto, un ulteriore atto traslativo, oneroso o gratuito che sia.

Con riferimento alla prima situazione, sembra anzitutto non condivisibile l’affermazione per cui tali atti debbano considerarsi inefficaci ex lege per un anno dalla trascrizione e che quindi la loro stipula è di fatto impedita dall’art. 2929 bis. Tale inefficacia, come abbiamo visto, è espressamente esclusa dalla norma. D’altro canto, osservo, è anche vero che è estremamente difficile che esistano persone che non siano debitori di qualcuno. E data l’alta litigiosità propria del nostro paese non è escluso che la nuova norma, anziché diminuire il contenzioso, lo accresca.

Dal punto di vista del notaio riterrei molto opportuno che prima dell’atto le parti sottoscrivano il c.d. consenso informato circa la portata della norma e gli effetti che essa produce, con conseguente esonero da responsabilità. A mio parere, inoltre, pur in presenza di posizioni debitorie in atto il notaio non potrà rifiutarsi di ricevere tali atti, in quanto obbligato ex art. 27 l. not. Si tratta, in ogni caso, di atti non certo espressamente vietati dalla legge ex art. 28 l. not. Escluderei, ancora, che il notaio debba inserire clausole in atto ovvero che debba indagare sui motivi dell’atto stesso. Tale indagine non è ammessa né è ammissibile, perché si tratterebbe, a tacer d’altro, di indagine sulle condizioni patrimoniali dell’autore dell’atto, cosa che non è concepita né concepibile per nessun atto[62].

Con riferimento alla seconda situazione la questione è abbastanza delicata e passa anzitutto dalla soluzione del problema relativo alla posizione dell’avente causa dal donatario che abbia acquistato entro l’anno. Se si ritiene che la norma deroghi ai principi in tema di trascrizione per il termine di un anno e che quindi non vi sia salvezza neanche dell’acquirente in buona fede a titolo oneroso, la posizione del notaio sarà identica. La visura ipotecaria dalla quale risulti che il bene donato non è soggetto a pignoramento sarà pertanto del tutto inutile. Pare quindi evidente che la norma non gioverà alla sicurezza e celerità dei traffici e renderà ancora più immobli di quanto non lo siano in natura i beni di provenienza donativa[63]. Essi non potranno infatti essere oggetto di alcun atto dispositivo prima della scadenza del termine dell’anno dalla trascrizione.

9. Conclusioni. Quale futuro per la protezione patrimoniale?

Pare evidente che la norma risolva un conflitto di interessi e che il legislatore abbia espressamente preso posizione a favore degli interessi dei creditori rispetto ad altre categorie di interessi. Nel nostro ordinamento, in via generale, quando l’interesse della famiglia entra in conflitto con quello dei creditori, il primo tendenzialmente risulta prevalente, giacché la legge di riforma del diritto di famiglia del 1975 ha «esaltato» la solidarietà familiare e la tutela patrimoniale dei membri della famiglia anche nei rapporti con i terzi. L’interesse di natura meramente patrimoniale dei creditori risulta cedevole di fronte alla necessità di garantire i diritti fondamentali della persona e, quindi, in particolare, quando si ponga l’esigenza di tutelare, anche sul piano economico, i componenti più deboli della comunità familiare, al fine di promuoverne il pieno e libero sviluppo. Soltanto considerando preminente la tutela dell’interesse familiare si spiega il riconoscimento della possibilità, per i coniugi e per i terzi, di costituire il fondo patrimoniale, cioè un patrimonio separato destinato «a far fronte ai bisogni della famiglia» (art. 167 c.c.), non aggredibile per i debiti «contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia» (art. 170 c.c.), tra i quali rientrano, innanzitutto, quelli assunti nell’esercizio dell’impresa. Si tratta di una limitazione della garanzia patrimoniale in deroga al principio generale sancito dall’art. 2740 c.c., concessa al chiaro scopo di facilitare ai coniugi l’accesso al credito per la realizzazione delle esigenze familiari[64]. Esistono invero interessi che hanno copertura costituzionale (famiglia, solidarietà, disabilità – v. infatti art. 2645 ter) e non si vede perché questi debbano necessariamente “cedere” rispetto agli interessi dei creditori. Il sistema ordinamentale direbbe il contrario[65].

Con questa norma viene invece scritto nero su bianco che gli interessi della famiglia sono di rango inferiore a quelli di un qualsiasi creditore.

Ennesima norma dettata da motivazioni contingenti, completamente disancorata dal sistema e dimentica dell’esistenza di interessi di rango costituzionale come quelli della famiglia rispetto ai quali quelli del credito andrebbero posti a confronto in base alla logica del caso per caso.

Tempi duri per la protezione patrimoniale?

Probabilmente sì, perchè, non va dimenticato, l’Italia è il paese dei furbetti e quello introdotto dal 2929 bis è un sistema che cerca di togliere la terra sotto i piedi di costoro. Basta scorrere i repertori di giurisprudenza – si è già sopra rilevato – per avvedersi di quanti fondi patrimoniali, trust, atti di destinazione sono stati stipulati esclusivamente per tentare di sottrarre i beni alle aggressioni dei creditori, a partire dal più importante di essi, cioè lo Stato.

La norma ovviamente colpisce indirettamente anche i professionisti. Taluno ha scritto che tutto questo è giusto, perché troppe volte i professionisti, compresi i notai, sono stati “cattivi” professionisti[66]. Occorrerebbe allora interrogarsi sul tema dell’inadempimento efficiente ovvero sul diritto di sottrarsi all’adempimento, ma il discorso ci porterebbe troppo lontano[67].

Quello che può osservarsi è che ogni intervento normativo deve essere equilibrato e ragionevole, e la tutela solo ex post del debitore, unita alla forzatura dell’esecuzione diretta sui beni di un terzo e alla mancata considerazione dei potenziali interessi che possono avere giustificato l’atto, non appare del tutto ragionevole e, quindi, equilibrata.

Non v’è dubbio che siamo in presenza di un cambiamento epocale, in cui il ragionamento giuridico cede il passo a valutazioni fondate su criteri di tipo macroeconomico, che qui vengono giuridificati, a logiche in cui i diritti dei singoli scolorano e perdono rilevanza, in cui, in definitiva prevalgono criteri di tipo ‘aggregato’. Conta, in altri termini, che lo Stato e il ceto bancario accelerino il recupero del credito per migliorare i propri conti. La solidarietà sociale, la protezione delle fasce economicamente più deboli, passano in secondo piano[68].

L’impressione, insomma, è che la giustificazione della norma sia legata a “interessi finanziari” e che manchi del tutto il bilanciamento/contrappeso valoriale. Per dirla tutta, una norma fondata sugli interessi invece che (anche) sulle regole e i diritti. E basta leggere le ultime sentenze della Corte Costituzionale, ma anche della CGUE, per avvedersi come vi sia un proliferare di argomentazioni fondate, appunto, su interessi finanziari, con il rischio di adottare decisione dipendenti dall’interesse prevalente del momento, attualmente quello di uscire dalla crisi economica e di salvare le banche.

Un non roseo futuro, quindi, per la protezione patrimoniale, per la tutela dei diritti fondamentali, per la tutela dei soggetti deboli.

Un segno dei tempi, forse.

13 febbraio 2016Leggi
Nuove imposte da pagare per acquisto immobili dal 1/1/2014 »

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Dal 1 gennaio 2014 cambierà la tassazione dei contratti che hanno per oggetto il trasferimento a titolo oneroso di beni immobili, per effetto della presa di vigore dell’articolo 10 D.L. 23/2011 (la legge istitutiva dell’Imu “propria”) e l’articolo 26 del decreto legge istruzione (il D.L. 104/2013, convertito in legge 128/2013). Anzitutto, si abbasserà l’imposta di registro per l’acquisto della “prima casa” dal 3% al 2% con un minimo di 1.000 euro; cambieranno altresì i requisiti “di lusso” in presenza dei quali questa agevolazione non è concessa (oggi si guarda alle norme contenute in un decreto ministeriale del 1969; dal 1° gennaio prossimo invece saranno considerate “di lusso”, e quindi non agevolabili, le unità immobiliari classificate in Catasto nelle categorie A/1, A/8, A/9). Ogni altro trasferimento immobiliare a titolo oneroso verrà invece tassato con l’aliquota del 9% di registro, sempre con un minimo di 1.000 euro. Inoltre, in tutti i casi in cui si applicheranno le nuove aliquote del 2% e del 9%, le imposte Ipotecaria e Catastale saranno dovute nella nuova misura fissa di 50 euro cadauna. Nei trasferimenti immobiliari da costruttori soggetti ad IVA, le imposte di Registro, Ipotecaria e Catastale saranno dovute nella nuova misura fissa di 200 euro. Si segnala inoltre che l’articolo 10, comma 4, D.L. 23/2011 dispone la soppressione di tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie, anche se previste in Leggi speciali, relative ai trasferimenti immobiliari a titolo oneroso. Qui di seguito si riporta una tabella esemplificativa dei casi più comuni:

Acquisto immobile da privato “prima casa”

Acquisto immobile da costruttore soggetto ad Iva

Acquisto immobile di pregio o come “seconda casa”

Acquisto di immobile da parte di Onlus

Registro

2%

200 euro

9%

9%

Catastale

50 euro

200 euro

50 euro

50 euro

Ipotecaria

50 euro

200 euro

50 euro

50 euro

10 febbraio 2014Leggi